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giovedì 14 ottobre 2010

Le 7 novità tecnologiche del 2010 più attese

Il 2010 porterà sicuramente molte nuove tecnologie, magari alcune ancora top secret, e si passerà da nuovi cellulari touch-screen ai sistemi operativi fino a nuovi servizi web, ma per i più Geek queste sono sicuramente le 7 tecnologie più attese:

1) Chrome OS: sicuramente il sistema operativo di Google è molto atteso, dato che Big G non ci ha mai deluso. Ha deciso di rivoluzionare il mondo dei netbookcreando un SO molto veloce con tecnologia cloud-computing (SO direttamente online) il quale sarà venduto su computer low-cost, così, senza spendere molto, potremo toccare con le nostre mani queste reali potenzialità.

2) iPhone 4G: la nuova versione dell'iPhone della Apple, la cui esistenza rimane ancora un mistero. Dalle poche indiscrezioni dovrebbe avere un processore più veloce, la possibilità di multi-tasking (capacità di aprire più applicazioni contemporaneamente), e una fotocamera da 5.0 mega pixel. Il resto è ancora da scoprire.

3) Google Wave: ancora Google protagonosta con questo servizio, che tuttora è disponibile solo su invito, il quale diventerà pubblico a tutti. Ormai popolare in tutto il web è un servizio di collaborazione per la comunicazione tramite documenti dinamici creati e visualizzati in tempo reale e dovranno presto uscire anche estensioni per quest'ultimo.

4) Office 2010: non sarà un nuovo prodotto ma è pur sempre il programma per scrivere, creare tabelle, creare presentazioni e tanto altro per eccellenza. La nuova versione mantiene la grafica Ribbon (di Office 2007) ma presenta molte piccole migliorie e soprattutto sembra debba essere più veloce ad avviarsi.

5) USB 3.0: lo standard di comunicazione tra il computer e le sue periferiche dovrebbe subire un enorme incremento nella velocità di trasferimento e lettura dati. Dovrebbe raggiungere sia nella scrittura che nella lettura una velocità di 5 Gbps, ma alcuni test hanno già segnalato che sia arriverà al massimo a 1,5-2 Gbps.

6) DirectTv: forse qui in Italia non sentiremo spesso parlare di questo nuovo canale IN 3D, ma in America comprando dei nuovi televisori, che supportano questo sistema (Sony, Panasonic, LG e Samsung), si riceveranno anche degli occhiali appositi per il 3D, così da potere vedere il primo canale in 3 dimensioni. Il canale è disponibile solo sul satellite e per visualizzarlo in maniera accettabile si dovranno comprare TV da almeno 40 pollici, anche perchè ci sono già le prime informazionii su un possibile Full HD.

7) Avast 5.0: magari non per tutti questo sarà un programma molto atteso, però la maggior parte degli utenti che vogliono utilizzare un antivirus gratuito e soprattutto molto efficace utilizzano Avast. La nota versione fino all'anno scorso era la 4.8, ma da quest'anno dovrebbe aggiornarsi fino alla versione 5 e avrà una grafica tutta nuova, e migliorerà anche nella ricerca virus grazie a nuovi software PUP (contro programmi indesiderati) e sarà in grado di rilevare anche il software malware sconosciuto (potenzialmente dannoso). Per le versioni Pro saranno disponibili anche software di miglioramento come una Internet Security Suite.

Quanto vale un’idea?

L’impressione è che in Italia si parli tanto di cultura, ma non si sia fatto ancora il punto su dove questa stia andando: così argomenta Marxiano Melotti, responsabile della segreteria scientifica della Fondazione per l’Istituto Italiano di Scienze Umane, nello spiegare le ragioni che hanno portato a convocare il convegno "Idee italiane" (Milano, domani e dopodomani, Auditorium Pirelli), rigorosamente riservato a una ristretta élite accademica. «Perché vi sono stati cambiamenti enormi - continua Melotti - alcuni evidenti, come quelli legati al consumo di massa della televisione e al suo uso politico, altri sotterranei, come quelli che riguardano  il sorgere di reti di interdisciplinarietà in campo scientifico; mentre si registra un certo scollamento tra mondo accademico e produzione culturale, che vorremmo cercare di superare, e un riavvicinamento tra i mondi della cultura laica e di quella cattolica, che vorremmo favorire». 

Così, all’insegna dell’interdisciplinarietà e del dialogo, al convegno intervengono, tra gli altri, lo storico Franco Cardini, lo scrittore Umberto Eco, il neuroscienziato Alberto Oliverio, il fisico e presidente del Cnr Luciano Maiani e il direttore dell’ "Osservatore Romano" Gian Maria Vian. E se la parte conclusiva del convegno è appannaggio di architetti e urbanisti (da Vittorio Gregotti e Franco Purini a Rafael Moneo e Joseph Rykwert), il focus dell’iniziativa ruota su un tema che a prima vista può apparire sconcertante: "Misurare la cultura" (curato dal sociologo Guido Martinotti e dall’economista Walter Santagata). 

Tanto sconcertante che è preventivamente insorto il matematico Giorgio Israel sul "Foglio" di ieri: «Le grandezze per cui non può darsi un’unità di misura riconosciuta universalmente, possono essere manipolate numericamente, ma non sono misurabili».Si può infatti dare un voto a un compito svolto a scuola, così come a una rapporto pubblicato da un ricercatore, o alla competenza di un operatore di un’azienda, ma non se ne potrà mai "pesare" la giustezza o l’efficacia in modo univoco. In tutti questi casi la valutazione, per quanto espressa in termini numerici, sarà sempre frutto di un giudizio soggettivo: ma, secondo Israel, proprio la soggettività disturba chi sogna che tutto sia «ridotto a valutazioni oggettive».

Ma allora, che vuol dire misurare la cultura? «Il quadro -  risponde Guido Martinotti - mi sembra questo: sino a non molto tempo fa, un decennio o poco più, si riteneva che tra il mondo della cultura e il mondo del misurabile vi fosse un’assoluta incompatibilità; e proprio questo assunto, mescolato a una più generale ostilità verso la misurazione, si ripercuote nelle mancanze ravvisabili nel sistema educativo italiano. Ma occorre anche intendersi su che cosa si intenda per "misura", per non incorrere in luoghi comuni quali quello che vede opposti tra loro il "quantitativo" e il "qualitativo". La moderna statistica, distinguendo tra misure metriche e misure non metriche, ha fatto giustizia di questi stantii pregiudizi».

Del resto, sostiene da parte sua Walter Santagata, la cultura «è un bene vario e ricco di accezioni, quindi oggetto di molteplici tipi di misurazione. Possiamo misurare la quantità di cultura prodotta, esportata o importata in un Paese; il valore aggiunto e il numero dei lavoratori impiegati nei settori culturali e creativi». Si può dar conto di una certa produzione di beni culturali (libri, riviste, film, spettacoli teatrali, opere d’arte), e d’altro canto si potrà misurare anche il loro consumo: per esempio, quanti libri sono venduti in un anno. Ma occorrerà anche tener conto di altri problemi: per esempio, ancora secondo Santagata, è noto che «gli italiani comprano molti libri, ma ne leggono pochi, mentre spesso la capacità "produttiva" di sale cinematografiche, teatri o auditorium non è completamente sfruttata». Sulla stessa linea, Martinotti riferisce che la frequentazione delle biblioteche è molto più diffusa nei Paesi del nord Europa o nel mondo anglosassone di quanto non lo sia qui da noi. E tutti questi sono tutti dati assoggettabili a una quantificazione degna di significato - per quanto si possa discutere sulla validità di ogni volume letto. 

Ma oggi ottenere un quadro statistico della produzione e del consumo culturale è uno strumento necessario per l’esercizio del governo: nel loro insieme, i beni originati dalla cultura sono una parte fondamentale dei beni prodotti e dei servizi offerti a livello nazionale. Una stima della commissione ministeriale che ha pubblicato il "Libro Bianco sulla creatività in Italia" colloca il peso delle industrie creative intorno al 9,3 per cento del Pil. Quindi anche in un campo etereo come quello culturale l’uso delle misurazioni si può rivelare utile. Per riferirsi a quanto scrisse sant’Agostino: noi non sappiamo che cosa sia il tempo, eppure lo misuriamo e su tale misura organizziamo la nostra attività. Forse il problema non sta tanto nel chiedersi che cosa possa o non possa essere misurato, quanto nell’usare con misura il concetto di misura...

Fiorello recita per Turturro «Farò sempre meno tivù»

Mettetevi il cuore in pace. Dice Fiorello: «Difficilmente tornerò presto in tv. Anzi, a dirla tutta questa tivù non fa più per me. Non ci sono più i soldi per fare varietà come Stasera pago io, per ora quindi mi prendo le mie soddisfazioni con gli show dal vivo».

Fiorello parla a margine del film di John Turturro, dove appare in una scena particolarmente efficace. Dice l’attore-regista: «Questo lavoro non è fiction, non è un documentario, non è un musical. Forse è tutte queste cose assieme. Ma soprattutto è un atto d’amore verso una città. E la sua anima». Pur avendo già molta Napoli dentro al cuore (i cinque anni di lavoro attorno a La tregua di Francesco Rosi; i tre per Questi fantasmi! di Eduardo) l’italo-americano John Turturro a tutto pensava, nella sua vita, tranne che a girare un film sulla canzone napoletana. «Quando mi hanno parlato diPassione, cioè di un "viaggio musicale" all’interno del panorama antico e moderno della musica partenopea, senza la pretesa di farne la storia, semplicemente facendomi guidare dai miei gusti e dalla mia sensibilità  – spiega Turturro – ho sentito subito che quel film, per me che ho sempre amato tutta la musica, e che ho sempre adorato Napoli, era il mio film».

Così dopo la favorevole accoglienza alla Mostra di Venezia, il 22 esce sugli schermi questo colorito, ritmato, accattivante "ritratto musicale" di una città, che adunando leggende del passato e nuovi miti (da Enrico Caruso, Sergio Bruni e Fausto Cigliano a James Senese, Pietra Montecorvino e Avion Travel, passando per Massimo Ranieri, Lina Sastri, Peppe Barra, e guest star come Mina – solo in voce – o Fiorello) e offrendoli nell’esecuzione di evergreen intramontabili e classici di sempre (O sole mio, I te vurria vasà, Malafemmena, Tamurriata nera, Catarì, e decine di altri), costruisce attorno ad ogni motivo una piccola storia, una «cartolina sentimentale» da una delle città «più belle e complesse del mondo». Perché hanno proposto "Passione" proprio a me? – si chiede Turturro. «Perché in tempi in cui il nome di Napoli correva abbinato a tristi vicende come quella della spazzatura, volevano che un occhio straniero fosse in grado di rilanciarne, anche all’estero, i valori positivi ed inimitabili». Sul cui valore internazionale, non c’è alcun dubbio: «La canzone napoletana non è solo napoletana: è italiana. Quindi del mondo – asserisce Fiorello (lui canta Carosone, duettando in "Caravanpetrol" assieme allo stesso Turturro) – Io ho sentito perfino gente di Arcore, che canta motivi partenopei».

Fiorello non si definisce un attore: «Anche se Turturro dice che girerebbe volentieri un film con me, in famiglia ci siamo da tempo divisi i ruoli. Io canto e mio fratello Beppe recita». Ma non si ritiene neppure un vero cantante: «Così come non sono napoletano. Eppure già Minghella nel Talento di mister Ripley mi aveva proposto di cantare Carosone. Forse perché, nel fare questo, come in ogni cosa che faccio, io metto tutto me stesso».

venerdì 8 ottobre 2010

Zero crisi, il pallone resta d'oro

Non c’è crisi che tenga, il pallone continua a gonfiarsi. A suon di milioni di euro iniettati nelle casse dei club, che poi ne versano buona parte (più del 60%) nelle tasche dei loro strapagati campioni. Un circolo vizioso, dal punto di vista etico. Ma assolutamente virtuoso sotto il profilo economico.


Il fatturato della Serie A cresce infatti senza sosta: nel 2008-2009 è aumentato di 73 milioni di euro rispetto alla stagione precedente, arrivando a 1498 milioni. Quest’anno le cose dovrebbero andare ancora meglio, perché con gli 860 milioni ricavati dalla vendita collettiva dei diritti tv la quota dei 1500 milioni verrà abbondantemente superata. Grazie a questa novità guadagnano tutti, grandi e piccole. Inter e Milan incasseranno 4,5 milioni in più, la Juve addirittura 10 e la Roma 11. Ma il beneficio si farà sentire soprattutto per la fascia media: 17 milioni in più per la Sampdoria, 14 per il Napoli, 11 e mezzo per il Bari, 10 e mezzo per Genoa e Lazio.

Non c’è quindi da stupirsi troppo se i calciatori continuano a battere cassa, opponendosi al volere della Lega Calcio che vorrebbe imporre contratti legati in buona parte al rendimento. Il calcio va alla grande in tutta Europa: oltre alla Serie A, anche le altre quattro "top league" hanno incrementato il giro d’affari. Secondo gli ultimi dati della Deloitte, la regina resta la Premier League inglese con un incremento del 3%, in parte annacquato dalla svalutazione della sterlina rispetto all’euro: 2326 milioni contro i 2441 dell’anno prima. Al secondo posto la tedesca Bundesliga con 1575 milioni (+10%), al terzo la Liga spagnola con 1501 (+4%). Persino la Ligue francese, al quinto posto dopo la Serie A, continua a contare denari: nel 2008-2009 ha sfondato il milione di euro per la prima volta. 

A gonfiare il pallone ci pensano anche gli sponsor: nelle casse dei club italiani entrano almeno 58 milioni di euro, considerando solo i contratti pubblicitari principali. Le cinque società che incassano di più dallo sponsor principale (Juve, Milan, Inter, Roma e Napoli), hanno visto nell’ultima stagione un incremento medio dei ricavi del 3,6%. Un dato che bilancia la parziale perdita di appeal degli altri 15 club, che hanno perso mediamente il 12,4%. Nel complesso, la Serie A "tiene", cedendo solo il 2,8% rispetto alla stagione 2008/2009. Il dato è solo in apparenza negativo, visto che gli investimenti degli sponsor sul mercato italiano sono calati del 10,4%.  In Europa la Serie A è terza con 3,5 milioni di media per squadra. Il campionato più attraente per i marchi commerciali è la Bundesliga, con una media per club di 6,3 milioni di euro (+ 5% rispetto alla stagione precedente).

La vera miniera d’oro però è la Champions League: da quando c’è la nuova formula, l’Uefa ha elargito milioni a pioggia. Secondo l’analisi di Stage Up, dal 2003 a oggi la squadra che ha incassato più denaro è il Manchester United: 216,6 milioni di euro. Grazie alla vittoria del maggio scorso, l’Inter occupa il quarto posto con 174 milioni, il Milan è nono con 154 milioni raggranellati in sei partecipazioni. Quest’anno il piatto sarà più ricco che mai: l’Uefa sgancerà ai club un totale di 758,6 milioni, circa 10 in più della stagione scorsa. Chi partecipa ai gruppi eliminatori intasca 3,9 milioni a prescindere dalla qualificazione, poi 800 mila per ogni vittoria e 400 mila per il pareggio. Più si vince più si incassa: 3 milioni per chi arriva agli ottavi, 3,3 per i quarti e 4,2 per la semifinale, fino ai 9 milioni per chi vince la Coppa. Senza contare il marketing e gli incassi del botteghino. È questo il vero Pallone d’Oro.

The Truth About Aged Domains

Domains that have been registered and not ever dropped are called "Aged Domains".

These domains normally sell for more than a new one because they have been around for a while. They're usually out of the Google Sandbox and for those who are looking for aged domains with a history, it can help them make a living online or raise credibility in their niche markets simply because if the domain has been around for years, it appears that they have as well.

Aged domains can also be found on forums like DNForum.com and simply by typing in the keywords "Aged Domains" into the search bar you can easily locate domain auctions that include these older domain names.


I have purchased dozens of domain names for $40 or less that were anywhere from 5 - 10 years old. Just based on the age alone I was able to flip these domain names for over 5x what I paid.

For instance, one domain name I purchased wasn't ever used, meaning it hadn't featured a website on it. It just sat parked in the users account for over six years. 

I purchased the domain for only $30.00 and because of its age, I was able to flip it for $379.00. 

That's quite a boost in profít from a domain I paid so little for. 

While there is no exact science on how to flip domains here are a few things to keep in mind: 

1) Development Potential

When you analyze the availability of domains in your list, consider what each domain name could represent and be used for when creating a website presence.

An example of which is whether the domain name is one that could represent a product title or better serve as a personal portfolio, a social community, a directory or perhaps a forum.

While it is unlikely that the purpose of the domain name will match your ideas when it is sold, thinking of a clear purpose for each domain name will not only help you make sound choices during the selection process, but it can also be included in a domain auction as a way of passing on ideas to prospective buyers.

2) Length

It cannot be said enough - most of the domain names you purchase should be relatively short, basically consisting of two words.


3) Trademark Issues

Avoid registering any domain names that could infringe upon the trademark of existing companies. Whether or not you believe that the company will take action shouldn't be considered.

The last thing you want is to purchase a domain name that is unable to be sold due to buyers being cautious or concerned of building a website on a domain that ends up being seized by a company wishing to protect their identity.

4) Relevant / Popular Keywords

Does the domain name contain popular keywords that are used by those seeking out more information in search engines? If so, your domain name just increased its value instantly.

One of the easiest ways to determine whether a keyword is a common one is by using the free service available at www.SEOBook.com or Keyword Discovery.


5) Existing Traffic

If you are purchasing aged or recently expired domains, you will want to determine whether there is existing traffic to the website or not, thus increasing its value immensely.

Organic, natural traffic sent directly from search engines is the best kind, however, back links from other websites are also very important to potential buyers.

An easy way to determine the number of backlinks as well as page rank and other important information is by visiting www.CheckPageRank.net where you can enter in domain names and retrieve useful data relating to the name itself.

When it's time to register your domain names, you can use any registrar that you wish.

Personally, I use www.TLDwebshop.com , a favorite among domain buyers and sellers. Regardless of the registrar you choose, you will want to make sure that you park them on service sites such asAfternic.com or Sedo.com so that you are able to generate revenue while you are preparing to sell the domain itself.

6) Spelling

Is the domain name easy to remember? If your customer purchases the domain and builds a business with this name, will he be able to easily brand it?

For example, domain names with double letters in them such as www.cashhour.com may often be mistaken for www.cashour.com. Keep in mind that domains with odd spellings, hyphens or numbers would have to be clearly spelled out, or explained, when someone is attempting to promote their website through word of mouth, rather than in print.

Consider this when registering domain names and make sure that the names you choose will not be mistaken or misspelled by potential customers of yours or the person purchasing it from you who will experience a significant loss in perceived value.

When choosing your domain names, there will be many factors that come into play - the type of audience you are offering to, the auction sites you are featuring them on, the price range you are expecting and so on.

There is no 'one way' to do this, and you will need to learn to become a better domain evaluator (and purchaser) through hands on experience. Using the guidelines above, however, will help you maximize your efforts and minimize your costs (and losses).


martedì 5 ottobre 2010

Ulivieri, il mister che fa correre i preti

Per fare l’allenatore di calcio, specie in Italia, ci vogliono spalle larghe, carisma e passione da vendere. Quando poi, a quasi 70 anni, si decide di diventare «direttore tecnico» della Nir (Nazionale italiana religiosi) allora occorre anche un po’ di «vocazione». E quella a Renzo Ulivieri, il «Renzaccio», non è mai venuta meno. 

Così quando quattro anni fa Padre Leonardo Biancalani e i religiosi calciofili sparsi per le parrocchie e i conventi d’Italia, gli hanno chiesto di diventare il ct della loro Nazionale, Ulivieri non ci ha pensato su tanto e ha accettato. Debutto della Nir nel 2006 su un campo molto particolare: il carcere di Rebibbia. «Non mi ricordo se si vinse o meno, forse perdemmo, perché noi siamo una squadra di cuore e spesso porgiamo anche l’altra gamba, ma ho bene in mente una scena che mi toccò. Quel giorno fra Enzo, uno dei miei giocatori, nel terzo raggio di Rebibbia ritrovò un suo compagno d’infanzia e si abbracciarono. Ci siamo commossi tutti. E allora pensai, forse anche a un pallone riescono dei piccoli miracoli...». 

Faccia d’attore, buona per la commedia all’italiana di Monicelli, il «mister», come lo chiamano tutti, ha il cuore tenero, «ma sul campo – avverte – non voglio noie, si corre e si suda. Punto». Così una volta al mese scatta il ritiro «calcistico spirituale» per questa specialissima nazionale che da bertinottiano considera una «rifondazione religiosa attraverso il calcio». 

«Ragazzi correre, far circolare la palla, siete preti e frati mica calciatori. E ricordatevelo sempre, Maradona non abita qui...». Eccolo che viene allo scoperto il «maledetto» toscanaccio malapartiano, il comunista, il «mangiapreti». «Potevano aver pensato giusto su quasi tutto, ma io mangiapreti mai stato. Come tanti della mia generazione venuta su nel dopoguerra, sono cresciuto frequentando sia la Casa del popolo che la parrocchia. Alla prima devo la mia formazione umana e ideologica; quella spirituale e soprattutto culturale, mi deriva dalla frequentazione di don Giuseppe. È grazie a quel gran prete che ho imparato a leggere e scrivere, ad amare il latino, ad appassionarmi ai libri di Giorgio La Pira e don Lorenzo Milani. Lettera a una professoressa è il testo base che mi ha guidato in tutto il mio lungo percorso professionale». 

Un cammino, quello del «mister» cominciato alla vigilia dei moti sessantottini nella squadra del suo paese, a San Miniato, e proseguito ininterrottamente per quarant’anni, attraversando tutta l’Italia, allenando da nord a sud, da Vicenza a Reggio Calabria, alla guida di 20 squadre diverse. Ultima panchina, quella della Reggina, stagione 2007-2008. Da poco ha riposto nell’armadio l’amuleto, il suo vecchio e consumato cappotto blu «quattro stagioni», con il quale si presentava regolarmente in campo. «Una volta a Ravenna l’ho indossato alla fine di giugno, testimone il cardinale Ersilio Tonini che sedeva accanto a me e mi guardava stupito... Guarda caso mi avevano squalificato anche quella domenica. Comunque nessuna superstizione, quel cappotto era solo un gioco». Anche questa avventura con la Nazionale religiosi è solo un gioco, ma forse anche un modo per stare più vicino a gente che parla con Dio tutti i giorni. 

«Prima di ogni partita mister Ulivieri ci dice sempre: “Su ragazzi, una preghiera non fa mai male”. E così a centrocampo, mano nella mano, si recita insieme il Padre nostro», racconta padre Leonardo che – appesi gli scarpini al chiodo (infortunio alla spalla) – è diventato il presidente onorario della Nir. «La fede è una cosa seria e non si può mica confondere con una partita di pallone. Solo all’inizio della carriera mi capitò di chiedere a un prete se veniva a benedire la squadra con la motivazione: da settimane non c’è verso di fare gol. E il padre indignato mi rispose: “Renzo vergognati, tu pensi che il Signore debba scomodarsi per queste bischerate?”... Aveva ragione». Saggezza dell’uomo che i suoi colleghi hanno scelto come capo dell’Assoallenatori. 

«Mi hanno liberato dalla tv, alla domenica il calcio ormai lo vedevo solo lì. Oggi invece grazie a questo incarico posso andare a seguire le partite allo stadio senza che nessuno possa dire: “È venuto a gufare per prendersi la panchina che salta”». Storie di cuoio vecchie e lontane, come le discussioni con Roberto Baggio ai tempi del Bologna, «finì che se ne andò, ma finché è rimasto parlavamo anche di buddhismo». Beghe di spogliatoio, come il litigio furibondo con Antonio Cassano, in un Samp-Reggina, ma poi la mano sempre tesa, pronta per il perdono. «Antonio quando ci siamo ritrovati mi disse: “Mister adesso che abbiamo fatto pace, facciamo un’altra bella cosa, quella multa che ci hanno data raddoppiamola e il ricavato lo doniamo alla famiglia di Adriano Lombardi (calciatore morto di Sla)... Sono i ragazzi come Cassano, quelli più difficili, che mi hanno stimolato di più a fare questo mestiere. In fondo penso che da quella panchina ho sempre cercato di portare dalla mia parte il “figliol prodigo”». 

Nel mezzo del suo cammino però, ha incontrato anche tanti buoni samaritani, anime candide alla Damiano Tommasi. «Su tutti faccio due nomi: Lorenzo Minotti che è anche il padrino della mia bambina Valentina e Demetrio Albertini, vicepresidente della Federcalcio». Menti passate dall’università del calcio di Coverciano, dove Ulivieri presiede ai corsi che ogni anno diplomano i nuovi tecnici italiani. «Una scuola di alto livello in cui si cerca di insegnare che il “tecnico vero” è un punto di riferimento e un educatore che deve avere il carisma del capo senza però apparire tale. I calciatori devono riconoscerlo prima di tutto come una persona per bene». 

Una figura in continua evoluzione quella dell’allenatore, ma per Ulivieri è fondamentalmente ancora quella che si leggeva nella dicitura del vecchio patentino: «maestro di vita». «Un ragazzo che gioca a calcio tra allenamenti e partite trascorre almeno 6-8 ore alla settimana con il suo allenatore, il quale corre il rischio di essere pure ascoltato. E se questo accade, vuol dire che ha fatto un lavoro superiore e sostitutivo spesso a quello della famiglia, perché il problema è che questi ragazzi in casa non parlano più. Il calcio dunque diventa uno strumento di comunicazione, aiuta a stare in gruppo, a non sentirsi emarginati e inoltre funziona da grande strumento terapeutico». 

Da tempo infatti Ulivieri segue i ragazzi di un’altra squadra speciale quanto la Nir, la Matrix di Firenze, formazione composta da ragazzi e adulti con disabilità fisiche e psichiche. Il calcio non è una fede, ma è comunque un credo universale che ha i suoi comandamenti e in cima; Renzaccio, da ex «smoccolatore», mette il divieto di bestemmia in campo. «È un fenomeno di cattiva educazione, ma le squalifiche severe dell’ultimo anno sono servite a diminuire i casi di bestemmiatori su tutti i campi». 

La riconquista di un senso civico può ripartire a anche dal rispetto delle regole di un gioco. «Ai giovani dico sempre che potremo vivere in un un mondo diverso e migliore di questo, solo se tutti ci si impegniamo a fare la nostra parte. La mia paura è che le nuove generazioni siano state abbandonate al loro destino e si stanno assopendo. Per risvegliarli occorre spiegargli che è molto più vantaggioso darsi agli altri, piuttosto che chiudersi nel proprio egoismo. Spegniamo la televisione, torniamo a parlare con i nostri figli e facciamogli capire che il bene più prezioso che esista è la felicità. E questa, deve spettare a tutti». Nessuna pretattica, sono i pensieri che arrivano dall’anima del mister che assicura: non ha nessuna intenzione di rubare il mestiere ai giocatori della Nir. «Su un pulpito sarei in fuorigioco. Io farò l’allenatore anche nell’aldilà. Mi sono informato e mi hanno assicurato che giocano a calcio pure lassù, dove ho tanti amici... A me basta un fischietto per gli allenamenti e una panchina da cui urlare per 90 minuti».

domenica 3 ottobre 2010

Mourinho “normal one”

Il vero Josè Mourinho si è “confessato” a Fogli, l’inserto di “Studi Cattolici” e per gentile concessione pubblichiamo questa intervista. Un Mourinho molto umile e pacato.

Il vero “Special One” fa il modesto dopo i tre “tituli” - Coppa Italia, Scudetto e Champions League - del Grande Slam interista?«Non sono modesto, sono credente».

Credente o superstizioso?«Qualcuno mi aveva visto stringere un crocifisso durante una partita. Almeno una volta all’anno vado in pellegrinaggio a Fatima. Il crocifisso che porto con me è un regalo di mia moglie».

A proposito di crocifisso, che cos’era successo con il Sindaco di Reggio Calabria?«Mi aveva accusato di avere dato una moneta a un bambino disabile per umiliarlo. Invece a quel bambino avevo donato il mio crocifisso. Mia moglie l’aveva comprato a Fatima e lo tenevo in tasca da tre-quattro anni».

Riesce a essere criticato anche quando fa un gesto affettuoso.«Si vede che sono sfortunato...».

Come sconfigge la sfortuna?«Con la preghiera».

Prega molto?«Sono cresciuto in una famiglia religiosa».

Chi Le ha insegnato a pregare?«Mia madre. E ricordo ancora certe preghiere che mi faceva dire la sera».

Ha un santo di riferimento?

«La Madonna di Fatima».

Con chi è andato la prima volta al Santuario di Fatima?«Con mia madre. E da allora il 13 maggio è una ricorrenza molto importante per me e per la mia famiglia».

Sua madre la portava a Fatima mentre Suo padre Félix, ex portiere portoghese, sui campi di calcio.«Mio padre viveva per il calcio. Io gli devo tutto».

Oltre agli schemi tattici in campo le ha dato dei suggerimenti anche per la vita?«Onestà e lealtà verso il prossimo».

Che valori ha trasmesso ai suoi figli?«Gli stessi».

Compreso l’insegnamento cattolico?«Se n’è occupata soprattutto mia moglie».

Un papà forse un po’ assente?«Quando posso, vado a prendere i miei figli a scuola e sto con loro. Mi ripaga delle volte che manco, per lavoro, alle feste importanti come i loro compleanni».

Sua moglie la segue sempre?«Una vera famiglia deve essere unita. Ovunque».

Com’è Mourinho in famiglia?«Normale. È una famiglia fantastica la mia. Siamo molto felici. Mia moglie e i miei figli sono molto importanti nella mia vita».

Sua moglie non compare nelle foto dei giornali.«Non ama la mondanità, le piace stare tranquilla. Ha rinunciato alla sua carriera per starmi vicino».

Quando torna a casa dopo le partite parla di calcio?«Che vinca o perda, è impossibile che sia una persona diversa quando torno a casa».

Chi è il mister in casa Mourinho?«Mia moglie. Lei è fondamentale nella mia vita. I miei figli Matilde jr e José jr dicono, scherzando, che a casa non ho autorità. Matilde è il miglior allenatore del mondo. Mia moglie e i miei figli hanno la priorità su tutto. Non ci sono ambizioni che reggano».

È attaccato alla sua terra?«Setùbal è il posto dove ritrovo le mie radici».

E ogni estate vi torna per insegnare calcio ai bambini poveri.«Ho ricevuto tanto dalla vita e voglio regalare qualcosa a chi è meno fortunato».

Chi l’ha deciso?
«Matilde e io. Ma prima lei. Sono bambini sfortunati che noi siamo felici di aiutare».

A chi chiede aiuto quando una partita si mette male?«In campo bastano i giocatori».

Ma lei è “The Special One”.
«Non voglio peccare di superbia».

Lo fa ogni volta che dice di essere il miglior allenatore del mondo.«Ma è la verità».

Com’è un allenatore cattolico nei ritiri e in campo?«Serio. Nel lavoro e nella vita. A volte l’esclusione dalla formazione serve come insegnamento».

Quale insegnamento?
«Che la vita è una faccenda seria. E va affrontata seriamente».

Per la serie: “Dio perdona, Mourinho no”?«Solo dopo il ravvedimento».

Il Suo secondo nome è Mario, proprio come qualcuno che dovrebbe ravvedersi (leggasi Balotelli)?
«Io non faccio nomi».

Ci pensano i giornali.«I giornali non sono la Bibbia».

Dalla Bibbia al Corano, che cos’era successo con Muntari?«Niente di speciale».

L’aveva sostituito perché digiunava durante il Ramadan e in campo non rendeva.«Quando un giocatore non è in forma viene sostituito. Senza problemi».

Ha avuto problemi come allenatore cattolico in Inghilterra?«Ci mancherebbe. Non ascolto le critiche sul mio lavoro, figurarsi sul mio credo religioso».

Ha chiesto aiuto alla fede nei momenti difficili?«Non solo in quelli difficili. E non mi ha mai deluso.

Sono invece molto delusi i tifosi interisti per come si è comportato andando via. «Ho fatto quello che si aspettavano da me: vincere».

Adesso c’è la panchina del Real Madrid.«Sarò ancora il migliore».

A Madrid si aspettano che ripeta il “miracolo” di Milano.«Se le cose cominciano bene finiscono bene».

Che cos’ha provato mentre alzava per la seconda volta la “Coppa con le orecchie”?
«La voglia di alzarla per la terza volta. Tre Champions con tre squadre diverse: l’unico»

Sono state uniche anche le reazioni dopo la finale.«Si sapeva che era la mia ultima partita con l’Inter».

L’Italia non l’ha mai amata«Non mi hanno perdonato di avere dato autorevolezza all’Inter, che in termini mediatici è dietro il Milan e per il tifo viene dopo la Juventus».
Il giorno più bello di quest’anno “special”?«La promozione di mia figlia Matilde jr».