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lunedì 25 ottobre 2010

Tessera del tifoso, grande spot commerciale

Al vaglio dell'authority il trattamento dei dati personali, l’utilizzo della tecnologia inserita nel microchip, nonché la liceità dell’obbligo di acquisto di una carta prepagata per ottenere la tessera del tifoso

Finalmente qualcosa si muove. Su segnalazione di alcuni cittadini e un’associazione di consumatori, il Garante per la Privacy ha aperto un’istruttoria sulla tessera del tifoso. Entro un mese è atteso l’esito. Tre i punti particolarmente controversi: il trattamento dei dati personali, l’utilizzo della tecnologia inserita nel microchip, nonché la liceità dell’obbligo di acquisto di una carta prepagata per ottenere la tessera del tifoso.

A insospettire i tifosi era stata la modulistica di richiesta. Su cui non era chiaro a chi andassero in mano i dati personali. Ma non solo. Perché, nonostante il clamore suscitato dalla sua introduzione, in pochi ancora oggi hanno capito cosa sia la tessera del tifoso. La quale è a tutti gli effetti una carta prepagata. Che può essere utilizzata per comprare biglietti e l’abbonamento allo stadio, ma anche per acquistare qualunque altra cosa, proprio come ogni altra carta. E c’è di più: essa contiene anche un microchip di tecnologia RFID, attraverso il quale particolari macchinari sono in grado di rilevarne i dati a distanza, seppur breve. E inoltre, al contrario delle normali prepagate, contiene la foto del possessore. Tutto ciò già contrastava un primo parere espresso dal Garante per la Privacy nel giugno 2010, in cui si precisavano alcuni aspetti del trattamento dei dati personali nelle linee guida del ministero.

Ufficialmente, però, la tessera del tifoso venne introdotta per curare la piaga della violenza negli stadi. Eravamo, si badi bene alle date, a metà 2009. Già allora, come riporta l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, i reati da stadio erano in considerevole diminuzione: contando solo il numero di feriti, si è passati dai 1.219 della stagione 2003-2004 ai 361 di quella 2007-2008, con un’ulteriore diminuzione del 66% nel girone d’andata dello scorso anno. Ebbene, la tessera veniva spacciata come ulteriore elemento di sicurezza e prevenzione. Da una parte la squadra forniva una tessera di fedeltà al tifoso, dall’altra la Questura controllava che sul titolare non pendessero provvedimenti ostativi (un provvedimento di Daspo o una condanna passata in primo grado per reati da stadio, sentenza che di fatto sancisce una diffida a vita a frequentare qualunque stadio). Tale misura però, sebbene meno aspra, era già in vigore dal 2005, allorché le squadre furono costrette a trasmettere i dati dei propri abbonati alla Questura.

E allora che bisogno c’era della tessera del tifoso? A far diminuire la violenza? Be’, se si prendono in esame le prime giornate di questo campionato sembra proprio di no. E c’è un perché. La circolare ministeriale 555/2009 che introdusse la tessera del tifoso, infatti, si guardò bene dal renderla obbligatoria. Non solo non lo fece per le singole società, le quali avrebbero potuto benissimo non aderire all’intero progetto. Ma nemmeno per il singolo tifoso, il quale può a tutt’oggi andare al botteghino o in banca e ottenere così il suo diritto d’accesso allo stadio. Con due uniche preclusioni: l’abbonamento per l’intera stagione e i biglietti per le trasferte nel cosiddetto “settore ospiti”, ossia quella gabbia dove i tifosi in trasferta vengono assiepati come fossero mandrie.

Cosa è successo? Semplice, che chi non ha sottoscritto la tessera del tifoso (vuoi perché, è il caso di molti ultrà, la vede come una schedatura, vuoi perché, condannato per reati da stadio, non poteva farlo) è andato ugualmente in trasferta, ha comprato un biglietto per una tribuna che non fosse quella “ospiti”, e si è seduto in un settore normalmente frequentato dai tifosi di casa. Risultato: incidenti. A Brescia, due settimane fa, il più grave, con un tifoso della provincia di Ragusa finito in ospedale (in quella partita c’erano solo 26 tifosi del Palermo nella gabbia, tutti gli altri erano nelle varie tribune). Invece il 19 settembre, a Marassi, durante Sampdoria-Napoli, l’accensione di una torcia da parte dei tifosi partenopei ed il conseguente parapiglia in tribuna (la curva ospiti era semideserta) ha costretto steward e forze dell’ordine a fare cordone nel settore distinti. Mentre a Brindisi, già alla prima di campionato di Lega Pro, sette tifosi dell’Avellino che non si trovavano nel settore ospiti si sono azzuffati con quelli di casa. Per loro potrebbe scattare il Daspo. Nel caso, anche se volessero, niente prepagata.

D’altronde non ci voleva molto a capire che lo scopo della tessera del tifoso fosse eminentemente commerciale. Non a caso, dopo il lancio pubblicitario disastroso, con i gruppi ultrà che non ne volevano sapere di sottoscriverla e quelli dell’Atalanta, era il 26 agosto, che assaltavano la festa di Alzano Lombardo dove parlava il ministro dell’Interno Bobo Maroni, molte squadre sul loro sito l’hanno camuffata con nomi accattivanti, puntando tutto sulla fidelizzazione. Come è accaduto spesso in passato, il meccanismo ha fatto leva sull’amore per il calcio degli italiani, il quale, a fronte di una diminuzione delle presenze allo stadio (quest’anno in serie A mancano all’appello già 70.000 paganti), è in grande crescita, almeno stando a una recente indagine di Demos & Pi (fonte Repubblica). Detto fatto, finora sono 655mila le tessere del tifoso sottoscritte. Come dire, un ulteriore balzello per tanti appassionati (si consideri che la prepagata finisce in mano pure ai minori di 14 anni), ma anche fa un gran favore alle banche, guarda caso il soggetto che spesso emette le fideiussioni grazie alle quali le squadre ottengono l’iscrizione ai campionati.

giovedì 21 ottobre 2010

Jessica Jackley: Poverty, money and love

giovedì 14 ottobre 2010

Pavimenti in marmo da mangiare

Pavimenti in marmo da mangiare. Chi ha detto salame?


Siete tutti invitati a prendere visione di questo bellissimo pavimento in marmo di Bologna. No, non di Carrara, di Bologna proprio. Nel senso che è fatto diMortadellaCoppa, e Salame. Però all'ingresso vengono requisite le michette di pane, non provate a fare i furbi.

Si tratta di un'opera dell'artista concettuale belga Wim Delvoye. Ne volete ancora? Basta andare su www.wimdelvoye.be/photography.php e fare clic su "Marble Floors".

Dov'è il Molise?

Dov'è il Molise? Neanche Google lo sa

Dov'è il Molise? Neanche Google lo sa

Le 7 novità tecnologiche del 2010 più attese

Il 2010 porterà sicuramente molte nuove tecnologie, magari alcune ancora top secret, e si passerà da nuovi cellulari touch-screen ai sistemi operativi fino a nuovi servizi web, ma per i più Geek queste sono sicuramente le 7 tecnologie più attese:

1) Chrome OS: sicuramente il sistema operativo di Google è molto atteso, dato che Big G non ci ha mai deluso. Ha deciso di rivoluzionare il mondo dei netbookcreando un SO molto veloce con tecnologia cloud-computing (SO direttamente online) il quale sarà venduto su computer low-cost, così, senza spendere molto, potremo toccare con le nostre mani queste reali potenzialità.

2) iPhone 4G: la nuova versione dell'iPhone della Apple, la cui esistenza rimane ancora un mistero. Dalle poche indiscrezioni dovrebbe avere un processore più veloce, la possibilità di multi-tasking (capacità di aprire più applicazioni contemporaneamente), e una fotocamera da 5.0 mega pixel. Il resto è ancora da scoprire.

3) Google Wave: ancora Google protagonosta con questo servizio, che tuttora è disponibile solo su invito, il quale diventerà pubblico a tutti. Ormai popolare in tutto il web è un servizio di collaborazione per la comunicazione tramite documenti dinamici creati e visualizzati in tempo reale e dovranno presto uscire anche estensioni per quest'ultimo.

4) Office 2010: non sarà un nuovo prodotto ma è pur sempre il programma per scrivere, creare tabelle, creare presentazioni e tanto altro per eccellenza. La nuova versione mantiene la grafica Ribbon (di Office 2007) ma presenta molte piccole migliorie e soprattutto sembra debba essere più veloce ad avviarsi.

5) USB 3.0: lo standard di comunicazione tra il computer e le sue periferiche dovrebbe subire un enorme incremento nella velocità di trasferimento e lettura dati. Dovrebbe raggiungere sia nella scrittura che nella lettura una velocità di 5 Gbps, ma alcuni test hanno già segnalato che sia arriverà al massimo a 1,5-2 Gbps.

6) DirectTv: forse qui in Italia non sentiremo spesso parlare di questo nuovo canale IN 3D, ma in America comprando dei nuovi televisori, che supportano questo sistema (Sony, Panasonic, LG e Samsung), si riceveranno anche degli occhiali appositi per il 3D, così da potere vedere il primo canale in 3 dimensioni. Il canale è disponibile solo sul satellite e per visualizzarlo in maniera accettabile si dovranno comprare TV da almeno 40 pollici, anche perchè ci sono già le prime informazionii su un possibile Full HD.

7) Avast 5.0: magari non per tutti questo sarà un programma molto atteso, però la maggior parte degli utenti che vogliono utilizzare un antivirus gratuito e soprattutto molto efficace utilizzano Avast. La nota versione fino all'anno scorso era la 4.8, ma da quest'anno dovrebbe aggiornarsi fino alla versione 5 e avrà una grafica tutta nuova, e migliorerà anche nella ricerca virus grazie a nuovi software PUP (contro programmi indesiderati) e sarà in grado di rilevare anche il software malware sconosciuto (potenzialmente dannoso). Per le versioni Pro saranno disponibili anche software di miglioramento come una Internet Security Suite.

Quanto vale un’idea?

L’impressione è che in Italia si parli tanto di cultura, ma non si sia fatto ancora il punto su dove questa stia andando: così argomenta Marxiano Melotti, responsabile della segreteria scientifica della Fondazione per l’Istituto Italiano di Scienze Umane, nello spiegare le ragioni che hanno portato a convocare il convegno "Idee italiane" (Milano, domani e dopodomani, Auditorium Pirelli), rigorosamente riservato a una ristretta élite accademica. «Perché vi sono stati cambiamenti enormi - continua Melotti - alcuni evidenti, come quelli legati al consumo di massa della televisione e al suo uso politico, altri sotterranei, come quelli che riguardano  il sorgere di reti di interdisciplinarietà in campo scientifico; mentre si registra un certo scollamento tra mondo accademico e produzione culturale, che vorremmo cercare di superare, e un riavvicinamento tra i mondi della cultura laica e di quella cattolica, che vorremmo favorire». 

Così, all’insegna dell’interdisciplinarietà e del dialogo, al convegno intervengono, tra gli altri, lo storico Franco Cardini, lo scrittore Umberto Eco, il neuroscienziato Alberto Oliverio, il fisico e presidente del Cnr Luciano Maiani e il direttore dell’ "Osservatore Romano" Gian Maria Vian. E se la parte conclusiva del convegno è appannaggio di architetti e urbanisti (da Vittorio Gregotti e Franco Purini a Rafael Moneo e Joseph Rykwert), il focus dell’iniziativa ruota su un tema che a prima vista può apparire sconcertante: "Misurare la cultura" (curato dal sociologo Guido Martinotti e dall’economista Walter Santagata). 

Tanto sconcertante che è preventivamente insorto il matematico Giorgio Israel sul "Foglio" di ieri: «Le grandezze per cui non può darsi un’unità di misura riconosciuta universalmente, possono essere manipolate numericamente, ma non sono misurabili».Si può infatti dare un voto a un compito svolto a scuola, così come a una rapporto pubblicato da un ricercatore, o alla competenza di un operatore di un’azienda, ma non se ne potrà mai "pesare" la giustezza o l’efficacia in modo univoco. In tutti questi casi la valutazione, per quanto espressa in termini numerici, sarà sempre frutto di un giudizio soggettivo: ma, secondo Israel, proprio la soggettività disturba chi sogna che tutto sia «ridotto a valutazioni oggettive».

Ma allora, che vuol dire misurare la cultura? «Il quadro -  risponde Guido Martinotti - mi sembra questo: sino a non molto tempo fa, un decennio o poco più, si riteneva che tra il mondo della cultura e il mondo del misurabile vi fosse un’assoluta incompatibilità; e proprio questo assunto, mescolato a una più generale ostilità verso la misurazione, si ripercuote nelle mancanze ravvisabili nel sistema educativo italiano. Ma occorre anche intendersi su che cosa si intenda per "misura", per non incorrere in luoghi comuni quali quello che vede opposti tra loro il "quantitativo" e il "qualitativo". La moderna statistica, distinguendo tra misure metriche e misure non metriche, ha fatto giustizia di questi stantii pregiudizi».

Del resto, sostiene da parte sua Walter Santagata, la cultura «è un bene vario e ricco di accezioni, quindi oggetto di molteplici tipi di misurazione. Possiamo misurare la quantità di cultura prodotta, esportata o importata in un Paese; il valore aggiunto e il numero dei lavoratori impiegati nei settori culturali e creativi». Si può dar conto di una certa produzione di beni culturali (libri, riviste, film, spettacoli teatrali, opere d’arte), e d’altro canto si potrà misurare anche il loro consumo: per esempio, quanti libri sono venduti in un anno. Ma occorrerà anche tener conto di altri problemi: per esempio, ancora secondo Santagata, è noto che «gli italiani comprano molti libri, ma ne leggono pochi, mentre spesso la capacità "produttiva" di sale cinematografiche, teatri o auditorium non è completamente sfruttata». Sulla stessa linea, Martinotti riferisce che la frequentazione delle biblioteche è molto più diffusa nei Paesi del nord Europa o nel mondo anglosassone di quanto non lo sia qui da noi. E tutti questi sono tutti dati assoggettabili a una quantificazione degna di significato - per quanto si possa discutere sulla validità di ogni volume letto. 

Ma oggi ottenere un quadro statistico della produzione e del consumo culturale è uno strumento necessario per l’esercizio del governo: nel loro insieme, i beni originati dalla cultura sono una parte fondamentale dei beni prodotti e dei servizi offerti a livello nazionale. Una stima della commissione ministeriale che ha pubblicato il "Libro Bianco sulla creatività in Italia" colloca il peso delle industrie creative intorno al 9,3 per cento del Pil. Quindi anche in un campo etereo come quello culturale l’uso delle misurazioni si può rivelare utile. Per riferirsi a quanto scrisse sant’Agostino: noi non sappiamo che cosa sia il tempo, eppure lo misuriamo e su tale misura organizziamo la nostra attività. Forse il problema non sta tanto nel chiedersi che cosa possa o non possa essere misurato, quanto nell’usare con misura il concetto di misura...

Fiorello recita per Turturro «Farò sempre meno tivù»

Mettetevi il cuore in pace. Dice Fiorello: «Difficilmente tornerò presto in tv. Anzi, a dirla tutta questa tivù non fa più per me. Non ci sono più i soldi per fare varietà come Stasera pago io, per ora quindi mi prendo le mie soddisfazioni con gli show dal vivo».

Fiorello parla a margine del film di John Turturro, dove appare in una scena particolarmente efficace. Dice l’attore-regista: «Questo lavoro non è fiction, non è un documentario, non è un musical. Forse è tutte queste cose assieme. Ma soprattutto è un atto d’amore verso una città. E la sua anima». Pur avendo già molta Napoli dentro al cuore (i cinque anni di lavoro attorno a La tregua di Francesco Rosi; i tre per Questi fantasmi! di Eduardo) l’italo-americano John Turturro a tutto pensava, nella sua vita, tranne che a girare un film sulla canzone napoletana. «Quando mi hanno parlato diPassione, cioè di un "viaggio musicale" all’interno del panorama antico e moderno della musica partenopea, senza la pretesa di farne la storia, semplicemente facendomi guidare dai miei gusti e dalla mia sensibilità  – spiega Turturro – ho sentito subito che quel film, per me che ho sempre amato tutta la musica, e che ho sempre adorato Napoli, era il mio film».

Così dopo la favorevole accoglienza alla Mostra di Venezia, il 22 esce sugli schermi questo colorito, ritmato, accattivante "ritratto musicale" di una città, che adunando leggende del passato e nuovi miti (da Enrico Caruso, Sergio Bruni e Fausto Cigliano a James Senese, Pietra Montecorvino e Avion Travel, passando per Massimo Ranieri, Lina Sastri, Peppe Barra, e guest star come Mina – solo in voce – o Fiorello) e offrendoli nell’esecuzione di evergreen intramontabili e classici di sempre (O sole mio, I te vurria vasà, Malafemmena, Tamurriata nera, Catarì, e decine di altri), costruisce attorno ad ogni motivo una piccola storia, una «cartolina sentimentale» da una delle città «più belle e complesse del mondo». Perché hanno proposto "Passione" proprio a me? – si chiede Turturro. «Perché in tempi in cui il nome di Napoli correva abbinato a tristi vicende come quella della spazzatura, volevano che un occhio straniero fosse in grado di rilanciarne, anche all’estero, i valori positivi ed inimitabili». Sul cui valore internazionale, non c’è alcun dubbio: «La canzone napoletana non è solo napoletana: è italiana. Quindi del mondo – asserisce Fiorello (lui canta Carosone, duettando in "Caravanpetrol" assieme allo stesso Turturro) – Io ho sentito perfino gente di Arcore, che canta motivi partenopei».

Fiorello non si definisce un attore: «Anche se Turturro dice che girerebbe volentieri un film con me, in famiglia ci siamo da tempo divisi i ruoli. Io canto e mio fratello Beppe recita». Ma non si ritiene neppure un vero cantante: «Così come non sono napoletano. Eppure già Minghella nel Talento di mister Ripley mi aveva proposto di cantare Carosone. Forse perché, nel fare questo, come in ogni cosa che faccio, io metto tutto me stesso».