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venerdì 5 novembre 2010

USA Network program rewards loyal viewers

USA Network has launched a loyalty program called “Character Rewards.” The cable TV network's viewers can earn and redeem points for gift cards and show-branded merchandise through the Web.

USA is using e-mail, social media and TV ads to market the program, which was created by the network's in-house marketing team.

The debut of Character Rewards is being tied to the July 14 season premiere of the series Psych. The show's fans will be able to accrue points at ClubPsych.com by watching videos, playing games and reposting content to Facebook and Twitter. The website is scheduled to launch July 13.

This week, viewers will be able to redeem points for virtual Psych-related goods. Starting next week, they can spend use their points toward gift cards for major retailers or Psych T-shirts, mugs, bobbleheads and other items.

Character Rewards' goals include encouraging loyal fans to act as ambassadors for shows through Twitter and Facebook and to steer viewers to USA's website, said Jesse Redniss, the network's vice president of digital.

“Some users will come and watch a lot of the video or play some of the games but not really know how deep the overall site offerings can really be,” Redniss said. “So this is a way to really reel them in and tie them to a path in which they can go watch a video, then go play a game, then pick a trivia, participate in a chat, so they can really feel the 360-offering that USA can do across all the digital mediums.”

Redniss added that the network plans to extend the program to all of its series over the next year.

“We're using Psych to launch it,” he said. “The fans of Psych are so rabid. We've got over 600,000 Psych fans on Facebook alone. And they seem to be extremely interactive and they like this kind of content. So we're going to be rolling this out to pretty much all of our properties over the next 12 months.”

USA is spreading the word about Club Psych by e-mailing users in its database, as well as those in the databases of its sister NBC Universal networks. USA also is utilizing Facebook and Twitter.

mercoledì 3 novembre 2010

Consolidamento debiti – perché conviene ?

L’operazione di consolidamento dei debiti rappresenta un soluzione finanziaria la cui richiesta è cresciuta di pari passo con l’aumento dell'indebitamento e del ricorso al credito.
Tali circostanze hanno generato come conseguenza, un moltiplicarsi delle scadenze mensili delle rate del prestito personale o del mutuo da onorare, creando non poche problematiche alle tante famiglie che difronte a questa situazione corrono il rischio di dimenticare il pagamento di qualche rata (anche se in maniera del tutto innocente) con le dovute conseguenze che ne derivano.
Il vantaggio del consolidamento dei debiti si concretizza sostanzialmente per chi ne beneficia a dover adempiere al pagamento di rate più basse ad un unico creditore (su cui grava tutta la posizione debitoria) anche se ovviamente si prolungano i tempi del rimborso
L'accostarsi ad un prodotto come il consolidamento dei debiti, in certuni casi, conduce di norma in direzione di due diverse strade maestre, cui corrispondono due diverse filosofie procedurali di concessione di tale linea di credito.
Ci sono istituti finanziatori come finanziarie e banche che richiedono, a garanzia dell'operazione, l’esistenza di un immobile. In tal caso il creditore che subentra, estingue i debiti, e sul nuovo totale fissa con il cliente una durata di restituzione del finanziamento più lunga, rideterminando la rata mensile in base alla disponibilità di reddito, con un prestito garantito da ipoteca sull’immobile.

L’AIDA (Attenzione, Interesse, Desiderio, Azione) nel marketing delle affiliazioni


Ha senso utilizzare nell’internet marketing un modello dell’advertising tradizionale creato negli anni ‘60? Ed usarlo nell’ambito dei programmi di affiliazione (affiliate marketing)? Analizziamo questo caso…

Immagina di dover promuovere un prodotto tramite un programma di affiliazione: potresti utilizzare un banner fornito dal merchant, scrivere un post sul tuo blog, scrivere uno spot sulla tua newsletter oppure mandare una email alla tua lista di contatti.

Potresti fare una o più di queste cose senza alcuna strategia, usando solo un po’ di buon senso: scegliere un banner "bello", scrivere un post "interessante" e così via. Fatto questo, potresti ottenere un sacco di vendite, oppure…
Gli utenti eliminano la tua email senza leggerla, non leggono il tuo post ed ignorano il banner perché non sei riuscito ad attirare la loro attenzione.
Gli utenti "scansionano" l’email ed il post velocemente senza dimostrare interesse per il prodotto che stai proponendo.
Gli utenti leggono l’email ed il post con attenzione, ma in fondo non desiderano il prodotto e non lo comprano.
Gli utenti desiderano il prodotto, ma non lo comprano subito.

Se succede una delle 4 cose che ho descritto, non guadagnerai nulla tramite il programma di affiliazione. Ecco perché è bene avere sempre in mente il modello AIDA:
Attenzione.
Interesse.
Desiderio.
Azione.

Quando scrivi il titolo di un post, l’oggetto di una email o scegli il banner da utilizzare, devi considerare innanzitutto che il tuo primo obiettivo è quello di attirare l’attenzione delle persone che possono essere interessate al prodotto che vuoi vendere. Come si fa? Devi scegliere un headline persuasiva, specifica e concreta.

Ad esempio, supponi di voler vendere un software per il commercio elettronico. Potresti scrivere "Fare soldi online". E’ un titolo persuasivo, specifico e concreto? No, probabilmente attira molti curiosi interessati a tutt’altro rispetto al prodotto che viene venduto.

Un headline migliore potrebbe essere: "Crea un negozio online", meglio ancora "Crea un negozio online spendendo poco". E’ un titolo specifico e concreto? Non abbastanza. "Poco" è troppo generico: per qualcuno "poco" equivale a 50 euro, per altri 5.000 euro.

Un headline che rispetta i requisiti potrebbe essere "Come aprire un negozio online spendendo meno di 1.000 euro?"

Ora hai attirato l’attenzione della persona giusta, qual è il prossimo passo?

Devi stimolare il suo interesse per il prodotto. In altre parole, devi elencare i benefici procurati dallo stesso. Un beneficio può essere semplicemente la soluzione ad un problema. Quindi devi chiederti quali sono i problemi che spingono una persona a cercare il prodotto che stai vendendo e, successivamente, far vedere come vengono risolti.

Non bastano però l’attenzione e l’interesse, ci vuole anche il desiderio di possedere un oggetto. A questo punto entra in gioco la psicologia. Le persone acquistano in modo emotivo ed istintivo, quindi è possibile che una persona faccia un acquisto per soddisfare un proprio desiderio e poi trovi una giustificazione razionale per l’acquisto nei benefici che hai elencato in precedenza e nelle caratteristiche del prodotto. Come si stimola il desiderio? Ce lo insegna la pubblicità in TV: raccontando delle storie nelle quali il consumatore si possa rispecchiare.

Lo spiego meglio riprendendo l’esempio del software ecommerce: potresti illustrare la case history di un’azienda che ha aumentato considerevolmente il proprio fatturato aprendo il proprio negozio online utilizzando tale software (spendendo meno di 1.000 euro).

Qual è l’ultimo passo? L’invito all’azione! Sembra banale, ma a volte gli utenti non compiono un’azione semplicemente perché non gli hai detto di farlo o perché non hanno trovato un modo rapido per farlo. Quindi, una volta raggiunti gli obbiettivi descritti nei punti 1,2 e 3, il punto 4 dev’essere sollecitato e reso il più semplice possibile. Ora usa il modello AIDA per guadagnare tramite le affiliazioni!

domenica 31 ottobre 2010

Ricetta Prandelli: «Allenare ai valori è il gol più bello»

«Ricercare il risultato attraverso il gioco, senza fare pressioni di sorta e soprattutto insegnando il rispetto delle regole. Per un allenatore giovanile il vero successo è trasmettere ai ragazzi valori che abbiano un solido fondamento etico e siano essenziali e funzionali ad un cammino responsabile e consapevole nella società».

La ricetta è firmata Cesare Prandelli, commissario tecnico della nazionale azzurra di calcio, che oggi pomeriggio sarà a piazza del Popolo, a Roma, a disposizione dei bambini e dei giovanissimi dell’Azione Cattolica, reduci dall’incontro della mattinata, in piazza San Pietro, con Benedetto XVI. Promette di essere una grande festa quella dell’incontro con il Pontefice, all’insegna dello slogan “C’è di più, diventiamo grandi insieme”, che si richiama al tema della sfida educativa lanciata dalla Cei. Come entra lo sport in questa sfida? Rilanciamo la palla al ct degli azzurri.

Il mondo dello sport professionistico può essere un grande modello educativo, ma talvolta non lo è. Come, secondo lei, è possibile aiutarlo a sentire la responsabilità di dare sempre il buon esempio ai giovani?
«Il calciatore professionista, il campione in quanto tale, è senza dubbio un modello di riferimento nella società e in particolare per i giovani. Tenere e fare proprio un comportamento corretto dentro e fuori dal terreno di gioco è, a mio avviso, un ulteriore arricchimento di tutto quanto di positivo un campione può rappresentare. Ecco perché è fondamentale che l’ambiente nel quale il campione vive e si forma proponga modelli virtuosi in tutti gli stadi del processo evolutivo».

Forse saprà che dopo i fatti di Genova, il Csi ha proposto di rigiocare Italia-Serbia con degli Under 14 in uno stadio pieno di bambini. Cosa ne pensa? Verrebbe a sedersi in panchina quel giorno?
«Penso che tutto quanto possa aiutare i ragazzi nel comprendere l’importanza del rifiuto della violenza, la differenza tra avversario e nemico, tra agonismo sportivo e guerra, sia importante. Se non avrò la possibilità di partecipare in prima persona a questa iniziativa, sarò comunque idealmente vicino ai ragazzi che quel giorno scenderanno in campo».

La sua vicenda personale ha evidenziato la sua grande dose di umanità. Ha saputo anteporre sempre l’uomo al professionista. Tanto da meritarsi un riconoscimento speciale dal Cardinal Tettamanzi. Si riesce ad essere “umani” anche allenando la Nazionale?
«Il rapporto umano è alla base di un ruolo di leadership in un contesto particolare come una squadra. Se non hai la capacità di ascoltare, di motivare, di rassicurare, suggerire e trasferire con autorevolezza il tuo messaggio al gruppo di uomini che sei chiamato a guidare, probabilmente hai sbagliato mestiere».

Il Csi è molto attivo nella parrocchie e negli oratori. Quale incoraggiamento “azzurro” lancia ai tanti allenatori che lavorano in quel contesto avendo a cuore l’educazione dei giovani?
«Che avvertano sempre il piacere di trasmettere ai giovani tre concetti: il rispetto delle regole, il piacere di acquisire i fondamentali del calcio attraverso il gioco, e soprattutto che ciascuno possa sempre esprimersi sul campo secondo le proprie caratteristiche psicofisiche, lasciando perdere tattiche e tatticismi esasperati che tolgono al calcio, e allo sport in genere, il piacere di praticarlo».

Ci promette un giorno di fare un salto in un oratorio Csi? Ne conosce uno in particolare?
«Sono praticamente nato in un oratorio Csi, il “Jolly” di Orzinuovi, in provincia di Brescia. Ricordi indimenticabili...».

Avendo allenato tanti giocatori, saprebbe indicare chi possa essere scelto come “capitano” da prendere come modello educativo?
«In generale il capitano è una figura fondamentale. È colui che in una squadra rappresenta in maniera naturale un vero e proprio punto di riferimento per i propri compagni. Che in campo e nello spogliatoio è unanimemente riconosciuto come leader per qualità morali, personalità, valore umano e atletico. È quello che mette sempre la propria faccia in tutte le situazioni, nella buona e nella cattiva sorte. Ed è un riferimento imprescindibile anche per l’allenatore. Personalmente mi ritengo fortunato: da calciatore ho avuto un grande capitano come Gaetano Scirea, in Nazionale ho gente del calibro di Pirlo, De Rossi e Zambrotta, per non parlare di Gigi Buffon che attendiamo a braccia aperte».

giovedì 28 ottobre 2010

The Great Misconception of Long-Tail Keywords and SEO

As I write this, I just came back from a meeting with a potential client with a startup who wants to make sure they bake SEO into their website from the start while also not making any SEO gaffes along the way. They were referred to me from a current client who was in similar shoes about a year ago. I love working with startups who have a well-thought-out business model, which is in part to create a website and business so great that it dominates their space.

During the course of our conversation one of the many things we discussed was the need for a "long-tail keyword strategy." Which makes sense because part of dominating any niche is showing up in the search results for any and all keyword phrases that relate to the business. We talked about the usual long-tail keyword vehicles...a resource center on the website, a blog, etc., all of which this company was planning to implement down the line.
Links From PR9 Sites

12 Months Permanent Link Assurance

Look at Our Competitive Rates

After the meeting I made a quick stop at Trader Joe's for nuts and berries for my husband (I think he's part chimpanzee!). When I got home it was noon so I fired up my "Jill Whalen Daily," which provides me with great lunchtime reading. The paper.li dailies are cool because they provide you with all the links your Twitter followers posted during the last 24 hours. I often use mine to help me find good articles to submit to Sphinn, as well as to keep up with the latest news in the search marketing world and beyond. As I was browsing it today, however, I was thinking that I shouldn't be reading other people's articles because I had a newsletter to write and no clue what to write about! My only excuse was that perhaps I would get inspired by something I read.

Thankfully for me (and you, faithful reader), I did! The very first article I read gave me exactly the inspiration I needed.

The article in question was Ian Lurie's "SEO 101: Defining the long tail" .

If you'd like, go ahead and read it before continuing – I'll wait. Just be sure to come back because I'm going to tell you why Ian is wrong in his explanation of the long tail for SEO.

Let me start by saying that I have tons of respect for Ian, whom I met this past year at a conference we were both speaking at. He's wildly intelligent, with the dry sense of humor for which I'm a total sucker. Of the articles he's written that I've read, I mostly agree with him – but not always. Which of course is part of what keeps SEO so fun and interesting...we all have our own opinions and definitions of stuff.

With that out of the way, and with you having had enough time to read Ian's article, here are my thoughts on SEO and long-tail keywords. Let's start with what I do agree with in Ian's article.

His definition:

The Long Tail
"Specific, niche search phrases, usually more than 2 words in length, that offer a low competition, low search volume and high searcher intent."

I mostly agree with that definition, although I'd say usually more than 3 words in length because most 3-word search queries do not have low search volume.

And I suppose that is the crux of my disagreement. He provides 3 made-up examples of long-tail keyword phrases, but in my opinion only 2 of them are truly long tail.
His examples revolve around socks, and he rightfully explains why optimizing and ranking highly for the one word "socks" is not the best SEO strategy. It will provide you with lots of traffic to your site, but it's untargeted traffic, and therefore less likely to convert for you. That is, the person who comes to your site after typing the one word "socks" into Google is less likely to purchase socks from you than the person who typed "socks with cats on them" (another of Ian's example phrases). I definitely agree with this. And I also agree that the phrase "socks with cats on them" is likely to be a true long-tail keyword phrase.

Ian also uses "socks that knock my socks off" as a potential long-tail phrase, and goes on to say that these types of phrases, in aggregate, can provide as much traffic to a website as the one word "socks," while providing the bulk of the sales. Once again, I agree. 

Keyword Gems as Opposed to Long-Tail Keywords

Where I start to disagree is with the third keyword phrase that Ian uses as a long-tail keyword: "red wool socks." While he was obviously just making up examples, "red wool socks" is unlikely to be a long-tail phrase – it's what I call a "keyword gem." (http://www.youtube.com/watch?v=lFWe4xCmTQs)

There's a very big difference between keyword gems and long-tail keywords. Keyword gems are those that a lot of people use in the search engines, but they don't have as much competition as the much more general keyword "socks." This differs from long-tail keywords, which aren't used much in the search engines.

Long-tail keywords – in the truest sense of what long-tail means – are those that may get searched only once a month, once a quarter, or even once a year. Sometimes even just once in a lifetime! In fact, they may not ever show up in most keyword research tools as viable keywords. (Especially now that Google has basically wiped them out of their keyword research database...but that's a story for another day.)

You Don't Optimize for Long Tail

Because long-tail keywords are so few and far between and can't easily be researched, you can't optimize for them – not in the traditional SEO sense. But that's okay, and in fact, it's the beauty of long-tail keywords. Anybody can receive highly targeted traffíc from them, regardless of your level of knowledge of SEO! All you have to do is have content on your website. It doesn't even have to be good content, although it should be good if you want it to convert for you. The content can even be user-generated, as in a forum, or in blog comments, product reviews, or pretty much anything that puts words on your pages. 

By Jill Whalen (c) 2010  

lunedì 25 ottobre 2010

Il Kazakistan in pressing sull’Eni

IL Kpo, di cui Eni è socio di maggioranza, viene accusato un'altra volta dal governo kazako di frode fiscale. L'obiettivo, in realtà, è entrare in uno dei più grandi giacimenti dell'Asia. Le Autorità di Astana e le multinazionali però nascondono lo stato di salute nel "villaggio dei veleni" a cinque km dal giacimento
Il Kazakistan vuole la sua parte nell’estrazione del gas nel Karachaganak, uno dei più grandi giacimenti di idrocarburi dell’Asia. Si parla di soldi, un immenso tesoro gestito dal Kpo, consorzio multinazionale di cui la società di stato italiana Eni, insieme all’inglese British Gas, è socio di maggioranza. Lo stato kazako vorrebbe acquisire una partecipazione del 10%, e negli ultimi mesi il pressing per ottenerla ha subito una forte accelerazione.


Il Kpo è stato accusato di aver aumentato i costi di estrazione tra il 2002 e il 2007 per un valore pari a 1,25 miliardi di dollari, di aver estratto illegalmente gas e petrolio per 708 milioni di dollari, di aver evaso più volte le tasse e di aver utilizzato permessi di lavoro irregolari. In più, a metà agosto, il governo del presidente-padrone Nursultan Nazarbayev ha introdotto una tassa sulle esportazioni di carburante pari a 20 dollari per tonnellata.



Un pressing che sembrava aver dato i suoi frutti, visto che lo scorso 25 agosto l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, aveva parlato di “trattative in fase avanzata”. Ma qualcosa dev’essere andato storto. Ieri il fisco kazako ha infatti accusato il consorzio di frode fiscale. Si tratta di “una somma sostanziosa”, ha detto il responsabile dell’agenzia fiscale kazaka, Daulet Ergojin, spiegando che “le principali questioni che si pongono a proposito di Karachaganak concernono la formazione dei prezzi per l’acquisto di forniture tra i partner del consorzio, l’Iva, l’imposta sulle società e i rimborsi”.



Insomma, l’ennesima accusa nei confronti di Eni e soci, che gestiscono l’unico giacimento di idrocarburi del paese in cui lo Stato locale non è presente. Una partita finanziaria immensa, che lascia però inevasa una questione: che ne sarà dei 1500 abitanti di Berezokva, il villaggio in cui malattie e malformazioni colpiscono la popolazione da oltre 10 anni. Per loro, che chiedono solo di essere trasferiti, un’indagine non è stata ancora aperta.



Tessera del tifoso, grande spot commerciale

Al vaglio dell'authority il trattamento dei dati personali, l’utilizzo della tecnologia inserita nel microchip, nonché la liceità dell’obbligo di acquisto di una carta prepagata per ottenere la tessera del tifoso

Finalmente qualcosa si muove. Su segnalazione di alcuni cittadini e un’associazione di consumatori, il Garante per la Privacy ha aperto un’istruttoria sulla tessera del tifoso. Entro un mese è atteso l’esito. Tre i punti particolarmente controversi: il trattamento dei dati personali, l’utilizzo della tecnologia inserita nel microchip, nonché la liceità dell’obbligo di acquisto di una carta prepagata per ottenere la tessera del tifoso.

A insospettire i tifosi era stata la modulistica di richiesta. Su cui non era chiaro a chi andassero in mano i dati personali. Ma non solo. Perché, nonostante il clamore suscitato dalla sua introduzione, in pochi ancora oggi hanno capito cosa sia la tessera del tifoso. La quale è a tutti gli effetti una carta prepagata. Che può essere utilizzata per comprare biglietti e l’abbonamento allo stadio, ma anche per acquistare qualunque altra cosa, proprio come ogni altra carta. E c’è di più: essa contiene anche un microchip di tecnologia RFID, attraverso il quale particolari macchinari sono in grado di rilevarne i dati a distanza, seppur breve. E inoltre, al contrario delle normali prepagate, contiene la foto del possessore. Tutto ciò già contrastava un primo parere espresso dal Garante per la Privacy nel giugno 2010, in cui si precisavano alcuni aspetti del trattamento dei dati personali nelle linee guida del ministero.

Ufficialmente, però, la tessera del tifoso venne introdotta per curare la piaga della violenza negli stadi. Eravamo, si badi bene alle date, a metà 2009. Già allora, come riporta l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, i reati da stadio erano in considerevole diminuzione: contando solo il numero di feriti, si è passati dai 1.219 della stagione 2003-2004 ai 361 di quella 2007-2008, con un’ulteriore diminuzione del 66% nel girone d’andata dello scorso anno. Ebbene, la tessera veniva spacciata come ulteriore elemento di sicurezza e prevenzione. Da una parte la squadra forniva una tessera di fedeltà al tifoso, dall’altra la Questura controllava che sul titolare non pendessero provvedimenti ostativi (un provvedimento di Daspo o una condanna passata in primo grado per reati da stadio, sentenza che di fatto sancisce una diffida a vita a frequentare qualunque stadio). Tale misura però, sebbene meno aspra, era già in vigore dal 2005, allorché le squadre furono costrette a trasmettere i dati dei propri abbonati alla Questura.

E allora che bisogno c’era della tessera del tifoso? A far diminuire la violenza? Be’, se si prendono in esame le prime giornate di questo campionato sembra proprio di no. E c’è un perché. La circolare ministeriale 555/2009 che introdusse la tessera del tifoso, infatti, si guardò bene dal renderla obbligatoria. Non solo non lo fece per le singole società, le quali avrebbero potuto benissimo non aderire all’intero progetto. Ma nemmeno per il singolo tifoso, il quale può a tutt’oggi andare al botteghino o in banca e ottenere così il suo diritto d’accesso allo stadio. Con due uniche preclusioni: l’abbonamento per l’intera stagione e i biglietti per le trasferte nel cosiddetto “settore ospiti”, ossia quella gabbia dove i tifosi in trasferta vengono assiepati come fossero mandrie.

Cosa è successo? Semplice, che chi non ha sottoscritto la tessera del tifoso (vuoi perché, è il caso di molti ultrà, la vede come una schedatura, vuoi perché, condannato per reati da stadio, non poteva farlo) è andato ugualmente in trasferta, ha comprato un biglietto per una tribuna che non fosse quella “ospiti”, e si è seduto in un settore normalmente frequentato dai tifosi di casa. Risultato: incidenti. A Brescia, due settimane fa, il più grave, con un tifoso della provincia di Ragusa finito in ospedale (in quella partita c’erano solo 26 tifosi del Palermo nella gabbia, tutti gli altri erano nelle varie tribune). Invece il 19 settembre, a Marassi, durante Sampdoria-Napoli, l’accensione di una torcia da parte dei tifosi partenopei ed il conseguente parapiglia in tribuna (la curva ospiti era semideserta) ha costretto steward e forze dell’ordine a fare cordone nel settore distinti. Mentre a Brindisi, già alla prima di campionato di Lega Pro, sette tifosi dell’Avellino che non si trovavano nel settore ospiti si sono azzuffati con quelli di casa. Per loro potrebbe scattare il Daspo. Nel caso, anche se volessero, niente prepagata.

D’altronde non ci voleva molto a capire che lo scopo della tessera del tifoso fosse eminentemente commerciale. Non a caso, dopo il lancio pubblicitario disastroso, con i gruppi ultrà che non ne volevano sapere di sottoscriverla e quelli dell’Atalanta, era il 26 agosto, che assaltavano la festa di Alzano Lombardo dove parlava il ministro dell’Interno Bobo Maroni, molte squadre sul loro sito l’hanno camuffata con nomi accattivanti, puntando tutto sulla fidelizzazione. Come è accaduto spesso in passato, il meccanismo ha fatto leva sull’amore per il calcio degli italiani, il quale, a fronte di una diminuzione delle presenze allo stadio (quest’anno in serie A mancano all’appello già 70.000 paganti), è in grande crescita, almeno stando a una recente indagine di Demos & Pi (fonte Repubblica). Detto fatto, finora sono 655mila le tessere del tifoso sottoscritte. Come dire, un ulteriore balzello per tanti appassionati (si consideri che la prepagata finisce in mano pure ai minori di 14 anni), ma anche fa un gran favore alle banche, guarda caso il soggetto che spesso emette le fideiussioni grazie alle quali le squadre ottengono l’iscrizione ai campionati.