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giovedì 10 marzo 2011

Profilare un utente

Oggi partiamo con due domande: cosa significa profilare (veramente) un utente? che vantaggi ci puo’ portare ?
Il profilo di un utente, per quello che serve a noi, è l’insieme dei dati che permettono al nostro sistema informatico di prendere conoscenza sulla persona, sui suoi gusti, sulle sue scelte. Può essere composto di nome, data di nascita, titolo di studio…
E fin qui niente di nuovo, ma proviamo ad andare oltre!
Per capire cosa un utente vuole leggere, cosa desidera comprare dobbiamo carpire cosa lo spinge all’azione, quali sono i suoi interessi, quali sono le sue relazioni. Ci interessa seguire i suoi percorsi di navigazione, le query date in pasto ai motori di ricerca (interni od esterno al sito).

Per capire cosa un utente vuole leggere, cosa desidera comprare dobbiamo carpire cosa lo spinge all’azione, quali sono i suoi interessi, quali sono le sue relazioni. Ci interessa seguire i suoi percorsi di navigazione, le query date in pasto ai motori di ricerca (interni od esterno al sito).
Abbiamo fatto un ulteriore passo avanti, ma possiamo andare oltre!
Quello che voglio proporvi è una profilazione tramite domande. Banali, semplici, spontanee.
Supponiamo che un sito vi chieda qual è il vostro genere di libri preferito; dopo qualche giorno il vostro colore preferito; subito dopo il vostro genere musicale preferito. Voi avete impiegato 2 secondi a domanda per rispondere, ma da queste informazioni il sito potrà intuire il vostro carattere, i vostri interessi e quanto altro la psicologia gli suggerirà. Potrà quindi proporvi film del vostro genere preferitto, canzoni del vostro autore prediletto e così via.
Ma quello che fa veramente la differenza, e quindi quello che vogliamo noi, è incrociare questi dati con quelli degli altri utenti dal profilo simile.
In base ai dati presenti nel profilo di un utente, siamo infatti in grado di stimare la vicinanza, rispetto a vari fattori, tra utenti. E’ quindi possibile creare bisogni e proporre risposte e soluzioni già collaudate dagli altri utenti vicini.
Possiamo, per esempio, vedere che gli utenti che ascoltano i Pink Floyd leggono mediamente più libri di filosofia degli altri utenti.
Perché non proporgli uno di questi libri? Magari dell’autore che ha venduto di più tra gli altri utenti appartenenti al gruppo ?
Possiamo trovare questo scontato e semplice, ma non è così. Basti pensare che i motori di ricerca rispondono sempre allo stesso modo alla stessa query, indipendentemente dalla precedenti preferenze dell’utente. E pensiamo inoltre a quante combinazioni di valori possono portare qualche decina di domande.
Però ricordiamoci che il valore di un database utenti è tanto più alto quante più sono le correlazioni che è possibile istituire tra i dati.
Provate ad usare questa tecnica per proporre pubblicità e rimarrete stupiti dei ritorni generati. Chiedete, chiedete, chiedete: gli utenti saranno ben felici di rispondervi!
Per chi volesse approfondire consiglio alcune keywords: affinità di contenuto, efficacia dei contenuti, affinità di prodotto.
See you estrattori di dati

sabato 5 marzo 2011

Il nuovo filtro di Google? Anticipiamolo!

Finding more high-quality sites in search”. Così, lo scorso giovedì, nel blog ufficiale di Google, è stato annunciato il lancio di un nuovo e mistico strumento anti-spam. Proviamo a leggere un po’ tra le righe:
This update is designed to reduce rankings for low-quality sites—sites which are low-value add for users, copy content from other websites or sites that are just not very useful. At the same time, it will provide better rankings for high-quality sites—sites with original content and information such as research, in-depth reports, thoughtful analysis and so on.”
Google sostiene quindi che valorizzerà i siti di alta qualità, con contenuti utili ed originali per gli utenti, e abbasserà il rank dei siti poveri di contenuti e poco interessanti. Contenuto originale, ranking… molto, molto interessante.
Vediamo di non fermarci in superficie e scendiamo di livello (ebbene sì, ogni riferimento ad Inception è puramente casuale)
Primo livello
Di che rank stiamo parlando? Page o trust rank?
Io sostengo entrambi: prima il trust e poi, per ovvia perdita di valore dei link dei siti penalizzati, anche del page rank, con buona pace di chi crede sia morto..
(lo so, potrei essere accusato di preveggenza visto che martedì scorso, 3 giorni prima dell’uscita del loro post, vi ho rinfrescato il trust rank)
Secondo livello
“Therefore, it is important for high-quality sites to be rewarded, and that’s exactly what this change does.”
E’ importante valorizzare i siti di qualità. Semplice a dirsi, ma come li selezionano? A mano o in modo automatico?
E’ sensato supporre che si possano basare su piu’ fonti. Oltre a tutti i dati statistici su chi preme il tasto indietro dal browser, tempi di lettura (ricordo che chrome è in rapida ascesa) Google ha a disposizione dati su Directory (la cara vecchia Dmoz?), link su wikipedia.. etc etc Ritorniamo nuovamente sul trust rank? No dai, oramai avete capito.
Terzo livello
I siti inseriti in Google news, e quindi approvati da loro manualmente, saranno considerati come autorevoli? Io penso proprio di sì…
Quarto livello
I siti che generano discussioni sui social network sono considerati interessanti per gli utenti? Di nuovo, io penso proprio di sì…
Torniamo in superficie
Ma dobbiamo quindi preoccuparci? Dipende!
Sì, se il nostro sito agli occhi degli utenti è uno di quelli inutili, di quelli che salvano le ricerche per intenderci, o hannno come uniche informazioni  dati scopiazzati qua e là.
No, se il nostro sito è composto di contenuti originali.
Assolutamente no, se il nostro sito è originale, sviluppa discussioni sui social network e ha un discreto/buon page e trust rank.
In ogni caso il lancio è previsto solo in U.S., ma a breve sarà esteso ovunque.. webmaster avvisato, mezzo salvato!
ps. gran finale: contenuti duplicati, similarity.. vi dicono niente ?

giovedì 14 ottobre 2010

Quanto vale un’idea?

L’impressione è che in Italia si parli tanto di cultura, ma non si sia fatto ancora il punto su dove questa stia andando: così argomenta Marxiano Melotti, responsabile della segreteria scientifica della Fondazione per l’Istituto Italiano di Scienze Umane, nello spiegare le ragioni che hanno portato a convocare il convegno "Idee italiane" (Milano, domani e dopodomani, Auditorium Pirelli), rigorosamente riservato a una ristretta élite accademica. «Perché vi sono stati cambiamenti enormi - continua Melotti - alcuni evidenti, come quelli legati al consumo di massa della televisione e al suo uso politico, altri sotterranei, come quelli che riguardano  il sorgere di reti di interdisciplinarietà in campo scientifico; mentre si registra un certo scollamento tra mondo accademico e produzione culturale, che vorremmo cercare di superare, e un riavvicinamento tra i mondi della cultura laica e di quella cattolica, che vorremmo favorire». 

Così, all’insegna dell’interdisciplinarietà e del dialogo, al convegno intervengono, tra gli altri, lo storico Franco Cardini, lo scrittore Umberto Eco, il neuroscienziato Alberto Oliverio, il fisico e presidente del Cnr Luciano Maiani e il direttore dell’ "Osservatore Romano" Gian Maria Vian. E se la parte conclusiva del convegno è appannaggio di architetti e urbanisti (da Vittorio Gregotti e Franco Purini a Rafael Moneo e Joseph Rykwert), il focus dell’iniziativa ruota su un tema che a prima vista può apparire sconcertante: "Misurare la cultura" (curato dal sociologo Guido Martinotti e dall’economista Walter Santagata). 

Tanto sconcertante che è preventivamente insorto il matematico Giorgio Israel sul "Foglio" di ieri: «Le grandezze per cui non può darsi un’unità di misura riconosciuta universalmente, possono essere manipolate numericamente, ma non sono misurabili».Si può infatti dare un voto a un compito svolto a scuola, così come a una rapporto pubblicato da un ricercatore, o alla competenza di un operatore di un’azienda, ma non se ne potrà mai "pesare" la giustezza o l’efficacia in modo univoco. In tutti questi casi la valutazione, per quanto espressa in termini numerici, sarà sempre frutto di un giudizio soggettivo: ma, secondo Israel, proprio la soggettività disturba chi sogna che tutto sia «ridotto a valutazioni oggettive».

Ma allora, che vuol dire misurare la cultura? «Il quadro -  risponde Guido Martinotti - mi sembra questo: sino a non molto tempo fa, un decennio o poco più, si riteneva che tra il mondo della cultura e il mondo del misurabile vi fosse un’assoluta incompatibilità; e proprio questo assunto, mescolato a una più generale ostilità verso la misurazione, si ripercuote nelle mancanze ravvisabili nel sistema educativo italiano. Ma occorre anche intendersi su che cosa si intenda per "misura", per non incorrere in luoghi comuni quali quello che vede opposti tra loro il "quantitativo" e il "qualitativo". La moderna statistica, distinguendo tra misure metriche e misure non metriche, ha fatto giustizia di questi stantii pregiudizi».

Del resto, sostiene da parte sua Walter Santagata, la cultura «è un bene vario e ricco di accezioni, quindi oggetto di molteplici tipi di misurazione. Possiamo misurare la quantità di cultura prodotta, esportata o importata in un Paese; il valore aggiunto e il numero dei lavoratori impiegati nei settori culturali e creativi». Si può dar conto di una certa produzione di beni culturali (libri, riviste, film, spettacoli teatrali, opere d’arte), e d’altro canto si potrà misurare anche il loro consumo: per esempio, quanti libri sono venduti in un anno. Ma occorrerà anche tener conto di altri problemi: per esempio, ancora secondo Santagata, è noto che «gli italiani comprano molti libri, ma ne leggono pochi, mentre spesso la capacità "produttiva" di sale cinematografiche, teatri o auditorium non è completamente sfruttata». Sulla stessa linea, Martinotti riferisce che la frequentazione delle biblioteche è molto più diffusa nei Paesi del nord Europa o nel mondo anglosassone di quanto non lo sia qui da noi. E tutti questi sono tutti dati assoggettabili a una quantificazione degna di significato - per quanto si possa discutere sulla validità di ogni volume letto. 

Ma oggi ottenere un quadro statistico della produzione e del consumo culturale è uno strumento necessario per l’esercizio del governo: nel loro insieme, i beni originati dalla cultura sono una parte fondamentale dei beni prodotti e dei servizi offerti a livello nazionale. Una stima della commissione ministeriale che ha pubblicato il "Libro Bianco sulla creatività in Italia" colloca il peso delle industrie creative intorno al 9,3 per cento del Pil. Quindi anche in un campo etereo come quello culturale l’uso delle misurazioni si può rivelare utile. Per riferirsi a quanto scrisse sant’Agostino: noi non sappiamo che cosa sia il tempo, eppure lo misuriamo e su tale misura organizziamo la nostra attività. Forse il problema non sta tanto nel chiedersi che cosa possa o non possa essere misurato, quanto nell’usare con misura il concetto di misura...