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domenica 8 agosto 2010

Il disperato appello di Sakineh: «Vogliono uccidermi in segreto»

Dure accuse sono state lanciate contro il regime iraniano da Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna condannata a morte in Iran mediante lapidazione con l'accusa di adulterio. Una condanna commutata poi a morte mediante impiccagione dopo le proteste internazionali. 

In un'intervista rilasciata tramite un intermediario al quotidiano britannico The Guardian, la donna, 43 anni, smentisce di esser stata condannata anche per omicidio, come invece asserito da funzionari iraniani. Ieri Mossadegh Kahnemoui, un alto funzionario della Giustizia iraniana, aveva affermato di fronte alla Commissione per l'eliminazione della discriminazione razziale, che «questa signora, oltre a doppio adulterio è stata trovata colpevole di cospirazione per assassinare suo marito».

«Stanno mentendo - ha dichiarato Mohammadi Ashtiani - sono imbarazzati per l'attenzione internazionale al mio caso, e stanno disperatamente cercando di distrarre l'attenzione e di confondere i media in modo da potermi uccidere in segreto». In effetti, prosegue la donna, «sono stata dichiarata colpevole di adulterio, ma prosciolta dall'accusa di assassinio. L'uomo che ha effettivamente ucciso mio marito è stato identificato e incarcerato ma non è stato condannato a morte». L'uomo, in effetti, non verrà giustiziato perchè il figlio della vittima, e di Mohammadi Ashtiani, lo ha perdonato. Lei invece è stata condannata a morte per adulterio.

«La risposta - afferma Mohammadi Ashtiani - è semplice, è perchè sono una donna, è perchè pensano che possono fare quello che vogliono alle donne in questo paese. È perchè per loro un adulterio è peggiore dell'assassinio. Non ogni tipo di adulterio, però: un uomo che lo commette non può neppure essere arrestato, mentre una donna adultera per loro è la fine del mondo. È perchè in questo paese le donne non hanno il diritto di divorziare dai loro mariti e sono private dei diritti di base».

La donna ha inoltre raccontato di non aver neppure capito, al momento della sentenza, che era stata condannata alla lapidazione, visto che era stata usata la parola araba 'rajam' a lei sconosciuta. «Mi hanno chiesto di firmare la mia sentenza, cosa che ho fatto, poi sono tornata in carcere e le mie compagne di cella mi hanno spiegato che sarei stata lapidata, e sono immediatamente svenuta», racconta al giornale britannica.

Mohammadi Ashtiani si è inoltre detta preoccupata per il fatto che il suo primo avvocato, Mohammadi Mostafei, è dovuto fuggire in esilio in Turchia e proprio oggi è in viaggio verso la Norvegia, mentre sua moglie è ora detenuta nel famigerato carcere di Evin senza accuse precise. Il legale aveva offerto gratuitamente la sua assistenza a Mohammadi Mostafei, ed era riuscito a ottenere attenzione internazionale sul caso. «Volevano liberarsi del mio avvocato - dice - in modo da potere facilmente accusarmi di qualsiasi cosa vogliono senza che lui possa parlare. Se non fosse stato per lui, sarei stata già lapidata».