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mercoledì 4 agosto 2010

Rio de Janeiro Maravilhosa e perigosa

«Cuidado». Basta dire a un brasiliano che si sta andando a Rio de Janeiro che parte la cantilena. Tutti mettono sull’attenti, tutti dicono la stessa cosa. Cuidado, attenzione, ad andare in giro con la macchina fotografica. Cuidado ai gruppi di ragazzini per strada. Cuidado a dove vai la sera. Cuidado a questo e all’altro. Insomma, c’è da stare attenti. Ma sarà vero? Una delle guide turistiche che va per la maggiore nel capitolo sulla sicurezza avverte: «Vestite in maniera dimessa, lasciate a casa orologi, occhiali da sole e tutto quello che può sembrare caro e costoso. Portate con voi il contante che vi serve per la giornata, di notte usate i taxi ed evitate di camminare nelle strade vuote, o lungo le spiagge». Ma spesso queste guide esagerano, quasi poi volessero essere libere di dire: «Io l’avevo detto». Al Castelinho 38, un albergo ricavato da una ricca casa borghese nel quartiere bohémien di Santa Teresa l’addetta alla reception sorride quando le si chiede se nella zona ci sono pericoli. La scoscesa via di accesso è sorvegliata da una guardia giurata. Armata di radiolina vigila su chi entra e chi esce. Un’altra sta seduta su una sedia all’altro capo della strada, trecento metri più in cima. «Qui pericoli non ce ne sono», dice. «Qualche volta di notte si sente qualche tiroteio, ma oramai sempre meno», aggiunge. Tiroteio è una parola da tenere a mente quando si parla di sicurezza a Rio. Vuol dire sparatoria e può capitare che ogni tanto, in sottofondo, si senta. «Le favela qui vicino, quella di Santo Amaro, è tranquilla», assicura. Quindi qui si può andare in giro senza problemi? «Se non sbagli strada e non entri nella favelas». E come si fa? «Le riconosci subito, le favelas. Basta stare attenti». Attenti, perché Rio, la cidade maravilhosa, è anche città perigosa. E si avvia ai due grandi eventi che ospiterà nei prossimi anni – Mondiali 2014 e Olimpiadi 2016 – con un grande problema da risolvere: la sicurezza. Lo dice il senso comune della gente con cui parli per strada, ma lo dicono i numeri, scarni ed essenziali come un carioca difficilmente riesce a essere. In città si regista un tasso di assassini di trentasei ogni centomila persone. E il novanta per cento dei casi rimane irrisolto. Nel solo 2008, oltre cinquemila persone sono morte di morte violenta, di cui 1188 – sostiene una ricerca di Humans right Watch – per mano della polizia. Un dato esorbitante, che la dice lunga sul livello di violenza della città. Del resto le operazioni di polizia all’interno delle favelas rispondevano allo schema "entra, spara e vattene" portato avanti dagli uomini del Bope, il battaglione di polizia militare per le operazioni speciali. Coperti da elicotteri e vestiti di nero facevano irruzione armi in pugno, sparavano (spesso ferendo civili) e andavano a cercare i trafficanti di turno che reagivano con un arsenale bellico che va dalle granate agli Ak-47. Solitamente queste sortite si concludevano con tiroteiro che lasciavano per terra diversi morti, da un lato e dall’altro. Una vera guerra giocata con armi pesanti. In ottobre, dieci giorni dopo l’assegnazione dei Giochi olimpici alla città, in un finesettimana di scontri un elicottero della polizia è stata abbattuto con dei lanciarazzi. Ma le cose stanno cambiando. Le cronache raccontano di una città in fermento. Di giorno camminando per strada nei quartieri alla moda di Leblon e Ipanema non sembra di stare in una città assediata. Certo, le case della classe media sono chiuse da cancelli che sembra di entrare in banca. Molte hanno un portiere o un servizio di vigilanza privato, ma passeggiando non ci si fa troppo caso. Si capisce invece che, complici la buona congiuntura economica del Paese e gli eventi in programma, in città stanno arrivando i soldi. Così Rio si sta riprendendo dalla crisi in cui era precipitata dopo che nel 1960 la capitale venne spostata nella neonata Brasilia.

Per anni la città venne mal amministrata, mentre crescevano esponenzialmente violenza e numero della favelas. La prima risale al 1888, anno in cui in Brasile venne abolita la schiavitù. Divenuti liberi, gli schiavi non avevano alcun posto dove andare a vivere se non costruirsi baracche sulle scoscese colline della città o ai bordi delle paludi di mangrovie. Baracche che poi sono diventati interi quartieri, il più delle volte sorti a ridosso delle zone eleganti della città. «Ma siccome Rio fa parte del Brasile, ha sempre mantenuto queste disparità», scrive il giornalista carioca Ruy Castro. Trent’anni fa le favelas erano trecento; dieci anni fa ne sono state censite seicento. Oggi si dice siano circa un migliaio, in cui vive circa un milione di persone sui sei che popolano Rio. In queste zone lo Stato per anni è stato completamente assente. I gruppi di trafficanti – quelli che si spartiscono la città sono il Comando Vermelho, Terceiro comando puro e Amigos dos amigos – imponevano il proprio sistema di giustizia, le proprie leggi e il proprio ordine. Bastava rispettarlo per vivere tranquillamente. Alle gang negli anni Novanta si sono aggiunte anche le milizie formate da poliziotti e pompieri corrotti. All’inizio erano agenti che fuori dall’orario di lavoro formavano squadroni della morte per fare pulizia nelle favelas: in cambio di denaro offrivano protezione dai trafficanti. Protezione che in breve diventava oppressione, al punto che un centinaio di favelas sono oggi controllate da questi squadroni di poliziotti divenuti trafficanti a loro volta. Tutto questo rendeva – e rende – Rio una della poche città al mondo dove interi quartieri sono controllati da forze armate che non fanno capo allo Stato. Adesso il governo promette di occupare con le buone quaranta favelas entro il 2014, quando al Maracanã si giocherà la finale dei Mondiali. Non è molto, ma è qualcosa. Serve a migliorare le condizioni di vita di migliaia di abitanti della città, ma serve anche a rassicurare le istituzioni internazionali che Rio è sicura per gli atleti e per i visitatori. L’arma del governo sono le Upp, un acronimo che sta per Unidades de polícia pacificadora, ovvero poliziotti che parlano invece che sparare, che in Brasile non è scontato. Si tratta di giovani appena usciti dalla scuole di polizia, che ricevano un addestramento specifico in diritti umani e gestione delle comunità, oltre a un bonus mensile di cinquecento real che permette di aumentare lo stipendio di quasi il cinquanta per cento.

Il programma è iniziato a fine 2008 e per adesso funziona. Nel primo distretto dove è entrato in vigore, il morro di Santa Marta nella zona sud della città, gli omicidi sono diminuiti dell’ottantadue per cento nel primo anno. Nel corso del 2009 è stato esteso ad altre otto favelas per un totale di centoquarantamila persone interessate. Tra queste comunità anche la Cidade de Deus, divenuta famosa nel 2002 per via del film di Fernando Meirelles che raccontava le violente avventure di alcuni ragazzini che governando lo spaccio prendevano possesso della zona. Qui 326 poliziotti comunitari cercano di imporre un po’ d’ordine a un agglomerato di quasi quarantamila persone. L’obiettivo non è estirpare il traffico di droga, ma almeno evitare che la gente giri armata. «Il nostro problema più grande è il fucile», ha spiegato il segretario delle Sicurezza, José Mariano Beltrame. Solo quando all’ingresso della favelas non si troveranno più ragazzini in infradito e pistola automatica che controllano chi entra lo Stato potrà cercare di stabilire all’interno della favelas quel minimo di servizi pubblici degni di un Paese civile. Il prossimo passo sarebbe quello di concedere titoli di proprietà delle baracche e del terreno sul quale risiedono agli abitanti della favelas, in modo da poter avere un domicilio e legalizzare la propria situazione. Un’idea rivoluzionaria presentata dal presidente Lula all’inizio del suo mandato e in parte rimasta impastoiata in questioni giuridiche. Intanto i lavori per le Olimpiadi del 2016, oltre che per migliorare la viabilità, si concentreranno nei quartieri nobili, come Copacabana e Barra da Tijuca. Ma parte del denaro servirà anche per pavimentare, illuminare e risanare le favelas. A cominciare da quelle che sorgono a due passi da questi quartieri. Insomma, in futuro bisognerà ancora ter cuidado" nel girare per Rio de Janeiro, ma qualcosa sta cambiando.