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mercoledì 1 dicembre 2010

«Stadi al capolinea» Il pallone ora piange

Siamo all’ultimo stadio. E non solo in senso metaforico. La prima neve caduta sul campionato ha fatto rumore e con essa le polemiche sugli impianti di Serie A. «Così il sistema non funziona», ha sbottato Maurizio Beretta, presidente della Lega, dopo il rinvio di Bologna-Chievo. Campo e spalti del Dall’Ara domenica sono stati ricoperti di uno spesso manto bianco, ma il peso piùà difficile da sostenere è quello degli anni di vecchiaia dell’impianto. 
E dire che il manto erboso dello stadio del Bologna ha generalmente una buona tenuta, e per l’occasione era coperto dai teloni. Ma il problema non è questo: più che il campo impraticabile a preoccupare le autorità è stata la sicurezza degli spettatori sugli spalti ricoperti di neve. «Il sistema degli stadi non funziona, bisogna andare verso impianti di proprietà delle società o profondamente ristrutturati. Abbiamo gli stadi più obsoleti d’Europa - aggiunge Beretta -. Pochi campi al nord sono riscaldati. E la parte dell’accoglienza, della sicurezza non è all’altezza dei concorrenti europei e della qualità del calcio italiano».  
La soluzione di cui si parla sempre è la legge che dovrebbe permettere di costruire nuovi stadi, che sta seguendo il suo iter in Parlamento. «Ci conto, l’appuntamento è in queste ore, siamo vicini a una soluzione - ha detto Beretta -. Il Senato approvò all’unanimità, mi auguro che alla Camera faccia lo stesso percorso».
Domenica sono saltate per il maltempo anche sei partite in Lega Pro e nove tra i dilettanti (serie D). Il presidente della Lega calcio chiama in causa il governo. «Questo sistema non può più funzionare in questo modo - insiste Beretta -. Si deve pensare a stadi di proprietà delle varie società per poter garantire una situazione più qualitativa rispetto a quello che vediamo oggi. È necessario dunque dare una svolta, che speriamo possa arrivare al più presto anche grazie al lavoro del governo».
 L’idea di Beretta e dei club è molto chiara. «In altri paesi gli stadi sono stati finanziati con un ammontare molto elevato di denaro pubblico. Noi pensiamo, molto responsabilmente, che nella situazione attuale del Paese e della finanza pubblica sarebbe sbagliatissimo chiedere anche solo un euro alle casse pubbliche, quindi vogliamo fare gli stadi senza togliere un euro al cittadino. Naturalmente nulla si costruisce dal nulla, le risorse ci vogliono, l’idea è di avere la possibilità di costruire qualcosa di collegato allo stadio, ma parametrato all’investimento. 
Le dimensioni sono decise dal Comune e dagli altri soggetti politici che parteciperebbero all’accordo di programma. Gli stadi oggi non solo non generano profitti, ma accumulano debiti», continua Beretta che a chi teme speculazioni risponde: «Chi non vuole gli stadi, chi non è amico del calcio ha gettato una luce falsa su quello che vogliamo: non ci sono speculazioni».
Ma Bologna in questi giorni è all’indice anche per la sua preoccupante situazione economica. «La Lega calcio non ha responsabilità per i problemi societari del Bologna», ha precisato Beretta in un intervento a “Radio Anch’io Sport” su Radio 1. «Non solo abbiamo vigilato - ha detto Beretta -, ma abbiamo messo in atto tutto quello che serviva. Il rapporto del Bologna con la Lega e con le altre società è garantito in maniera granitica, ci sono tutte le fidejussioni necessarie per le operazioni su cui ci spetta di vigilare. I passaggi proprietari invece sono responsabilità delle società: non siamo la Consob dei club».
Infine la questione sciopero. La clamorosa protesta da parte dei calciatori per il rinnovo del contratto sembra davvero vicina: «Stiamo cercando di fare un accordo collettivo nell’interesse del calcio e non di una sola parte - spiega Beretta - Serve dare stabilità al calcio per i prossimi anni. Prendiamo atto delle norme Uefa che impongono ai club il pareggio di bilancio, quindi qualche cosa in modo concordata va fatta, bisogna cambiare. Il tempo del gioco delle parti è finito, si deve lavorare per costruire un accordo utile al calcio. Un accordo nell’interesse di tutti».

sabato 31 luglio 2010

Lega Pro senza soldi: 36 squadre rischiano di non iniziare il campionato

Alcune società faticano a pagare gli stipendi ai calciatori e i tifosi del Venezia lanciano una sottoscrizione per salvare il club
I campionati della Lega Pro (ex serie C) dovrebbero essere le fondamenta del calcio italiano, ma in questa estate post Mondiale sembrano più che altro pali malfermi di decrepite palafitte. Su 90 squadre, 17 non saranno al via del prossimo torneo, nella maggior parte dei casi per problemi economici: otto hanno rinunciato a iscriversi, altre nove sono state bocciate dalla Covisoc, l’organismo che controlla i conti (disastrati) del pallone italiano. Non è finita: al momento sono escluse per inadempienze varie altre 19 società, che hanno presentato ricorso. Deciderà venerdì il Consiglio federale se accoglierlo o meno. Alle non iscritte vanno aggiunte anche Ascoli e Ancona, in teoria inserite nella serie B 2010-2011: se la prima dovrebbe essere in grado di sanare la sua posizione, la seconda è appesa a un filo per non aver presentato nei termini la fideiussione richiesta e la documentazione relativa agli adempimenti previdenziali.

Insomma, un disastro. L’Italia del calcio risente eccome della crisi e vede sparire piazze di provincia, ma anche e soprattutto pezzi di storia. In pochi mesi sono scomparse Mantova(nell’anno del centenario), Perugia e Rimini. Le prime due travolte dal fallimento, la terza perché la cooperativa proprietaria si è stancata di andare avanti e ha messo in vendita il club. Morale, non è spuntato nessun compratore. Rischia grosso anche la Salernitana, mentre in SardegnaOlbia e Alghero hanno già chiuso baracca e anche la Villacidrese si trova in cattive acque. In Puglia si sono dissolte Gallipoli e Monopoli.

Altro che business, il pallone ormai è un giochetto costoso e insostenibile. A Mantova Fabrizio Lori era apparso nel 2004 come un messia in grado di spingere la squadra a lottare per la serie A. Nel 2006 i virgiliani avevano addirittura battuto la Juventus. Meno di quattro anni dopo, fiaccato dai problemi economici delle sue aziende, Lori ha dovuto gettare la spugna. Dietro restano solo macerie: il nuovo Mantova, grazie alla norma che salva il titolo sportivo delle squadre con grande tradizione calcistica, ripartirà dalla serie D. Stessa sorte per il Perugia.

A dipendenti e tifosi non restano che rimedi estremi: i giocatori della Triestina hanno rinunciato agli ultimi stipendi per salvare il club, mentre i supporter della Cavese hanno dato il là a una colletta per raccogliere i soldi necessari all’iscrizione. Simile la trovata dei tifosi del Venezia, che hanno appena lanciato una sottoscrizione popolare per aiutare le casse del disastrato club. Due fallimenti negli ultimi quattro anni l’hanno fatto sprofondare tra i dilettanti. Ora il Venezia United vuol essere il primo esempio di public company applicata al calcio: dieci euro a testa per la tessera, con l’obiettivo di raccoglierne almeno 300 mila e ridare ossigeno alla squadra.

E pensare che nel 2008 la nascita della Lega Pro era stata annunciata tra squilli di tromba dal suo presidente Mario Macalli. Sono bastati due anni per capire che si era trattato solo di una verniciata a un palazzo che già crollava a pezzi. Poche risorse per troppi club, cui si è aggiunto uno scarsissimo appeal per sponsor e spettatori. Laddove non arrivano le pay tv, è difficile trovare i soldi per pagare gli stipendi a fine mese. È una situazione che espone a un rischio concreto: personaggi poco puliti potrebbero proporsi come salvatori per farsi pubblicità o, peggio, per riciclare denaro sporco.

I problemi derivano anche dal gigantismo del calcio italiano. Le squadre professionistiche sono tante: in tutto 132 contro le 92 dell’Inghilterra, le 56 della Germania, le 42 della Spagna e le 40 della Francia. La Football League inglese, l’equivalente della nostra Lega Pro, va a gonfie vele anche perché conta solo 48 squadre. Poche ma buone, in grado di fare il pieno di spettatori a ogni partita. Così uno dei primi rimedi per guarire la Lega Pro potrebbe proprio essere quello di applicare una robusta cura dimagrante ai campionati. Magari evitando anche i ripescaggi.