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lunedì 6 settembre 2010

le audizioni della commissione antimafia in Sicilia

Strage di via D'Amelio. I riflettori sono puntati sulle inchieste in corso a Palermo e Caltanissetta. A diciotto anni dalle stragi di Capaci e via D'Amelio la verità sembra vicina, o meglio, più vicina di prima. Il pentito Spatuzza con le sue dichiarazioni ha - di fatto – rimesso in discussione tre gradi di giudizio sul processo Borsellino, palesando i contorni di un depistaggio istituzionale su quelle indagini. E non soltanto su via D'Amelio: dal fallito attentato all'Addaura al giudice Falcone, passando per la strage di Capaci, sino agli attentati del '93, si stanno rivedendo processi, nomi, luoghi e riscrivendo pezzi di una storia che non si doveva sapere. Tanto da coprirla, con silenzi, depistaggi e archiviazioni. La “scatola nera” della seconda Repubblica è in corso di lettura, in particolare, nei due processi che si stanno svolgendo a Palermo, sulla mancata cattura del Boss Bernardo Provenzano (quello che sui media è detto “sulla trattativa”) e a Caltanissetta su via D'Amelio. Da qualche settimana sono iscritti nel registro degli indagati tre poliziotti Vincenzo Ricciardi, Mario Bo e Salvatore La Barbera (i tre facevano parte del gruppo speciale d'indagine 'Falcone - Borsellino' che indagava sulle stragi di Capaci e via D'Amelio e che era diretto dall'ex capo della mobile poi questore a Palermo, Arnaldo La Barbera) in merito all'ipotesi che vi sia stata una precisa regia dietro le dichiarazioni del falso pentito, Vincenzo Scarantino, mafioso del quartiere Guadagna di Palermo. 

Per la prima volta da quel tragico 1992 una Commissione antimafia ha scelto di occuparsi di quel periodo storico in cui un'azione terroristico – mafiosa “mise in grave pericolo la nostra democrazia”. Ha usato proprio questa espressione il 30 giugno scorso il presidente, Beppe Pisanu, quando con una breve relazione introduttiva ha dato il via ai lavori della Commissione antimafia su questo tema. In quell'occasione Pisanu aveva aggiunto: «È ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa Nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica». Da ieri la Commissione antimafia si trova in Sicilia per una tre giorni di audizioni con i magistrati palermitani e nisseni. 

«Non so se la politica saprà reggere la verità che sta emergendo sulle stragi». Questo avrebbe dichiarato ieri ai giornalisti davanti alla prefettura di Palermo, il pubblico ministero Domenico Gozzo prima di entrare in audizione con la Commissione. «Una verità che passa anche attraverso alcuni apparati istituzionali – avrebbe aggiunto Messineo». Frasi che sono state subito raccolte e rilanciate dai media, trovano però subito una smentita da parte del presidente Pisanu che si affretta a precisare: “non abbiamo parlato di questo in audizione”. La seduta, come spesso accade quando la Commissione antimafia si trova in trasferta, è stata secretata. Impossibile quindi conoscere il contenuto di quanto detto dai pm in quella sede. Quel che è certo è che si è parlato della situazione attuale delle indagini, del cosiddetto “depistaggio istituzionale”, delle rivelazioni di Spatuzza e della mancata protezione del collaboratore di giustizia, e dei contorni della “trattativa” intercorsa fra parti dello Stato e della mafia. E i procuratori hanno sottolineato come si sia finalmente "vicini, ad un passo, dalla verità".

In questi giorni da Caltanissetta, intervistato dal corrispondente dell'Unità, Nicola Biondo, in merito proprio alla trattativa mafia – Stato, Nico Gozzo, ha dichiarato: «Borsellino muore anche per la trattativa. E ci sono molte persone che lo potrebbero raccontare. Alcune di esse vanno ricercate tra alcuni dei cosiddetti “amici” di Paolo Borsellino. La cifra essenziale della sua morte è la solitudine e il tradimento». Ci sono ancora persone che sanno e non hanno parlato. Ci sono persone che stanno ricordando, che provano a nascondersi dietro fisiologici “non ricordo”. E' sul livello politico delle verità non dette su quegli anni che la Commissione antimafia proverà a lavorare e dare il suo contributo. «Il fatto - ha sottolineato ieri Gozzo ai giornalisti – è se la politica sarà in grado di raccogliere queste verità». * * 

«Sono abbastanza ottimista sulla possibilità' che venga finalmente fuori tutta la verità' sulla stagione delle stragi – ha dichiarato il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, in una intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica poco prima di entrare in audizione dalla Commissione antimafia. Ne sono convinto perché' al contrario della quasi rimozione che l'argomento per anni ha vissuto nel nostro Paese, percepisco un rinnovato interesse dell'opinione pubblica, dell'informazione e anche da una parte della politica». In particolare Ingroia sottolinea che «le indagini di Caltanissetta stanno consentendo di rilevare scenari agghiaccianti che purtroppo danno ragione a chi, come me nell'estate del '92 ebbe già' la certezza che quella di via D'Amelio non era strage solo di mafia. Depistaggi di tipo istituzionale sarebbero incomprensibili se destinati a coprire uomini di mafia. Possono avere senso solo se destinati a coprire responsabilità' di pezzi dello Stato». 

In attesa che le indagini proseguano il cammino della Commissione procede in questa direzione per provare a riscrivere una verità politica e storica sulla quale si attende che in molti ritrovino la memoria persa in questi lunghissimi 18 anni senza verità è giustizia.

La Lega e la 'ndrangheta

La volta scorsa, nel dicembre del 2009, l’attuale vice ministro alle infrastrutture del Governo Berlusconi, Roberto Castelli, gli aveva risposto cosi: “Ma va a ciapà i ratt”. Oggi continua e afferma: “ gli antimafia a pagamento sono sempre meno credibili”. Le accuse sono indirizzate sempre allo stesso destinatario, Roberto Saviano, reo di porre, nell’acceso dibattito Nord-Sud, l’attenzione sulla presenza delle mafie nell’operoso e sano territorio del Centro-nord. Questa volta lo ha fatto in un’intervista rilasciata a Vanity Fair nella quale, a seguito delle notizie emerse dall’inchiesta Crimine a carico di alcuni amministratori locali del Carroccio, ha chiamato in causa le responsabilità della Lega nord che da dieci anni governa quei territori. «Dov’era la Lega mentre la ‘ndrangheta si infiltrava»? Tanto è bastato perché la Lega, nonostante le risultanze investigative, attaccasse lo scrittore campano per queste affermazioni. Il braccio di ferro fra Castelli e Saviano si ripropone con gli stessi toni duri di quando, lo ricordiamo, lo scrittore aveva affermato: «Milano è la più grande città del sud d’Italia. I meridionali nel corso degli anni hanno contribuito a far crescere la produttività». Diverso il contesto nel quale nacquero quelle affermazioni ma identico il botta e risposta. Alle osservazioni di oggi in cui Saviano fa notare che la presenza delle mafie è stata segnalata anche nei comuni governati dalla Lega, Castelli risponde: «Se non sa nulla della storia della Lombardia vada a rileggersela […] noi abbiamo fatto atti amministrativi precisi e fatti concreti. Non ci siamo limitati a scrivere quattro cose e a partecipare a quattro conferenze». 

Eppure la cronaca recente non lascia molto spazio alle valutazioni. Dopo anni in cui si susseguono operazioni di carabinieri e forze dell’ordine, in cui l’allarme lanciato anche nella relazione annuale dei Servizi di sicurezza, pone la Lombardia in cima alle regioni in cui maggiore è il rischio di radicamento delle mafie, in cui si susseguono strani omicidi e le operazioni antiracket hanno numeri paragonabili a quelle di molte città del sud, all’alba del 13 luglio scorso la più grande operazione antimafia delle forze dell’ordine coordinata dai Pm delle procure di Reggio Calabria e Milano ha disposto la custodia cautelare per 300 persone, a vario titolo, coinvolte nell’operazione “Crimine” . 

Gli addetti ai lavori parlano di questa operazione come “della punta dell’iceberg” del sistema mafioso della ‘ndrangheta in Lombardia. Nell’operoso nord, nella regione feudo del Carroccio, i magistrati hanno contestato il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, fra gli altri, al boss Pasquale Zappia, succeduto a Giuseppe Neri, nel controllo del territorio e degli affari e Carlo Antonio Chiriaco, direttore della ASL di Pavia; dell’assessore comunale di Pavia Pietro Trivi, accusato di corruzione elettorale; di Antonio Oliviero, ex assessore della Provincia di Milano nella giunta di centrosinistra guidata da Filippo Penati e degli imprenditori Francesco Bertucca e Ivano Perego, responsabile della Perego Strade, ricollegabile direttamente al clan Strangio. I soggetti sono ritenuti responsabili di aver fatto parte della 'ndrangheta attiva da anni sul territorio di Milano e nelle province limitrofe. 

Molti degli arrestati sono anche affiliati a logge massoniche. Nelle 3000 pagine dell’inchiesta si racconta dei rapporti diretti che il consigliere regionale Angelo Ciocca, leghista da sempre, ebbe con l’avvocato Pino Neri, massone dichiarato e soprattutto boss di primissimo piano finito in carcere in questo maxi blitz. Nella primavera del 2009 i due sono stati filmati dai carabinieri mentre si incontravano per discutere dello scambio di voti da effettuare spostandoli su un candidato gradito alle cosche. Un modello del tutto simile alle dinamiche con cui da decenni la mafia si interfaccia e governa nel centro sud. Il voto di scambio, il cavallo “vincente”, il favore da restituire. Tre semplici passaggi per mettere sotto scacco un intero sistema che di democratico continua ad avere sempre meno. L’inchiesta “Crimine” è fra le prime a raccontare come questo “modello” si ripeta sempre uguale a se stesso anche nei comuni governati dalla Lega, partito che ha fatto del suo impegno in prima linea contro le mafie “terrone”, il fiore all’occhiello della lotta contro quella zavorra sociale ed economica rappresentata dal mezzogiorno. 

Nelle carte della richiesta di arresto disposta dai magistrati milanesi si descrivono i rapporti tra il padrino e Ciocca (ad oggi non indagato) per far confluire i voti leghisti su Francesco Rocco Del Prete, candidato della ‘ndrangheta (poi non eletto) alle comunali 2009 di Pavia. I rapporti tra il consigliere e il padrino della ‘ndrangheta iniziano nel giugno 2009, quando “Neri – scrivono i magistrati – ha assoluta necessità di far eleggere alle consultazioni elettorali di Pavia un proprio uomo, Rocco Del Prete, e a tal fine si rivolge a Ciocca”. La Lega preferisce un altro candidato, ma poi un gioco di “favori e promesse” rimette tutto in campo. Le infiltrazioni arrivano così. Nell’intervista rilasciata a Vanity Flair, lo scrittore Roberto Saviano, a partire anche da questi ultimissimi fatti di cronaca, a porre una questione politica. Dov’era la Lega mentre in questi ultimi dieci anni in cui ha governato in quelle aree tutto questo accadeva? «Il Sud è la ferita aperta di questo fenomeno, attraverso cui tutto si fa passare. Il tessuto sano è sano perché lì le mafie investono , ma non sparano». Tanto basta per aprire la strada agli ennesimi attacchi indirizzati nei confronti dello scrittore campano. Attacchi subito rispediti al mittente proprio nella stessa Casal di Principe dove da stamani, su quelle stesse mura su cui per anni campeggiavano scritte a favore del boss di turno, compaiono invece frasi in sostegno dell’autore: «Dieci, cento, mille, diecimila Roberto Saviano per i casalesi del clan». Un inno d’apprezzamento per lo scrittore e per il suo impegno contro la camorra, vergato sui muri dello stadio di Casal di Principe. 

Dal canto loro i ministri leghisti, rispondendo a quelle che giudicano come “accuse” e spesso sono solo la cronaca dei fatti, raccontano delle battaglie fatte proprio contro il confino obbligatorio dei boss nelle città del nord, dell’impegno antimafia e dei successi ottenuti con la guida di Maroni al Ministero dell’Interno. Rimane comunque acceso il dibattito ma si dirama troppo spesso in dure vicoli ciechi: c’è chi nega la presenza delle mafie nelle terre della Lega e chi la riconosce ma fa risalire e circoscrive il fenomeno alla presenza dei “meridionali” al nord. Il problema è come sempre più complesso e le semplificazioni non aiutano. A tal proposito solo qualche mese fa il giornalista Antonello Mangano sul portale “Terrelibere” in un articolo dal suggestivo titolo “Mentre vietate i kebab la ‘ndrangheta si sta mangiando la Lombardia” scriveva:« le mafie che in Padania ormai sono entrate negli appalti e nelle forniture pubbliche e che hanno preso residenza nei comuni attorno a Milano, Varese, Brescia. Che spesso impongono il pizzo ai negozianti, senza che siano nate associazioni antiracket. Anzi, si risponde che la mafia non esiste al Nord. Il problema mafioso non è entrato nella campagna elettorale delle elezioni regionali. E’ chiaro che al Sud il problema è gigantesco, ma non bisogna sottovalutare le candidature e la pulizia delle liste in nessuna parte d’Italia. A Legnano, roccaforte della Lega Nord, nel 2008 è stato ucciso con un colpo alla nuca e abbandonato nelle campagne Cataldo Aloiso, genero di Giuseppe Farao della cosca Farao-Marincola di Cirò Marina, in Calabria. Il 25 aprile del 2007 viene ucciso a Tagliuno (Bergamo) Leone Signorelli, raffinatore di cocaina colombiana che rivendeva alla ‘ndrangheta. Cinque mesi dopo i killer aspettano davanti casa Giuseppe Realini, artigiano del legno bergamasco. Si ammazzano tra loro?».