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giovedì 3 marzo 2011

Delio Rossi: «Forse è meglio allenare i bambini»

È uscito di scena con le lacrime trattenute a stento, l’altro giorno nella conferenza stampa di addio. I tifosi rosanero Delio Rossi lo hanno acclamato però, specie dopo la frase: «Gli allenatori e i presidenti passano, il Palermo resta».
È finita così l’avventura siciliana di un tecnico che meritava un trattamento migliore. Da Zamparini come da Lotito alla Lazio, dopo la Coppa Italia vinta ai rigori sulla Sampdoria, senza dimenticare la qualificazione alla Champions League. Invece tre sconfitte in fila hanno fatto dimenticare lo spettacolo offerto con Pastore e Ilicic, la Roma rullata, le tre vittorie di fila sulla Juve, l’Inter sotto di due gol a San Siro.

Delio Rossi, ora lei è a guardare, mentre Allegri pregusta lo scudetto con il Milan dopo solo una breve esperienza al Cagliari, in Serie A. E Leonardo appena alla seconda stagione da tecnico lo contrasta con l’Inter...
«Loro sono arrivati subito alle grandi, io no. La gavetta però serve: sui campi sterrati, nelle categorie inferiori, si cresce».

Da seguace di Zeman, come lui è stato tradito dalla voglia di entusiasmare?
«Non sono allievo di nessuno, sarebbe sciocco e riduttivo considerarmi un clone del boemo. Ero capitano della sua squadra, il Foggia, nell’86-’87, e poi tecnico della Primavera, quando Zeman si impose all’attenzione nazionale. Non mi sono mai ispirato a lui, ma è fra i tecnici che stimo».

Tante squadre sono molto fisiche, lo spettacolo però si fa con la tecnica.
«Se hai giocatori veloci e di classe, che sanno fare l’uno contro l’uno, la tattica viene dopo: decidono i duelli, aggiudicandosene sette su undici si vincono le partite».

Come si spiegano le difficoltà in trasferta del Palermo, al di là degli 11 gol subiti nelle ultime due gare in casa?
«Abbiamo venduto Simplicio, Cavani e Kjaer, ovvero i pilastri di ciascun reparto, ringiovanito la rosa. La squadra ha futuro, anche se non raccoglie subito. Crescerà».

Furoreggiano gli attaccanti di stazza piccola: Di Natale, Sanchez, Di Vaio. Lo stesso Miccoli portò il Palermo al quinto posto, un anno fa...
«Il calcio è lo sport più democratico: nel basket, a pallavolo e a tennis vince la prestanza, a pallone ci sono il brevilineo, l’agile, il roccioso; la differenza è nella qualità. Gli attaccanti grossi hanno fisicità ma offrono meno spettacolo».

Ecco, lei come fa a divertire quasi sempre con le sue squadre?
«Amo un calcio propositivo, organizzato. La squadra deve avere uno spartito, nel possesso e non, seguire un filo logico».

E quel chewing-gum divorato, come forse solo Ancelotti sa fare?
«È un surrogato delle sigarette, mi mancano tanto, in panchina. Anzi, mi mancava...».

Chi vincerà lo scudetto?
«Prima dell’inizio del campionato pensavo all’Inter, ora invece dico Milan».

Qual è il miglior giovane?
«Dico Pastore, per affetto e riconoscenza nei confronti dei giocatori che ho allenato sino a domenica sera, anche se magari non ne sono convinto del tutto».

Il presidente Zamparini da tempo la criticava per la fase difensiva.
«Quando qualificai la Lazio alla Champions League non subivo tanti gol. Dipende sempre dalle caratteristiche dei giocatori, con Cassani e Balzaretti in fascia devi avere centrali molto rapidi che sappiano leggere le situazioni. Gli schemi belli non bastano, servono equilibrio e un buon saldo fra reti all’attivo e al passivo».

Come si giustifica quel febbraio con solo la vittoria a Lecce?
«Questo Palermo era la squadra più talentuosa e difficile che abbia guidato, con molti talenti a briglia sciolta. Io sono irrazionale di natura, ma razionale sul campo».

Come valuta i torti arbitrali che tante volte avevano innescato il presidente?
«Le piccole non interessano. La guerra in Iraq è considerata nel mondo per il petrolio, del Darfour non frega niente a nessuno. Accade la stessa cosa nel calcio italiano».

Zamparini minaccia spesso di lasciare, ma vale la pena che i proprietari continuino a indebitarsi per il calcio?
«Non conosco filantropi, una volta si investiva per amore di maglia, chiunque ha un ritorno».

Lei ha 51 anni, allena da 21, sino a quando continuerà?
«Non per molto. O mi accende un progetto o preferisco restare fermo. Vivo la professione 24 ore al giorno, in maniera totalizzante. Ora vorrei tornare a guidare i bambini, sono prestato al professionismo».

Spalletti, Ancelotti e Zaccheroni hanno vinto fuori dall’Italia, Mancini ci prova. Li imiterà?
«L’estero mi affascina, ma un posto di mare, dove c’è il caldo. Non amo il freddo. A parte sei mesi a Bergamo, ho lavorato solo in città di mare. Con l’acqua ho un buon rapporto, è lì, mi dà sicurezza. Chi va in Russia comunque non lo fa per esperienza di vita, ma perchè è ben pagato».

Del Neri è approdato alla Juve a 60 anni, Rossi arriverà mai a una squadra da scudetto?
«Mi ritengo fortunato per quanto ho avuto. Mi piace la professione, è pure ben retribuita. Ho tantissimo rispetto per chi lavora in Lega Pro, ho quasi sempre firmato anno per anno, a Palermo avevo un biennale a scadenza in giugno».

Il Napoli è vicino a qualificarsi per la prossima Champions League...
«La differenza tra Nord e Sud non sta nell’intelligenza delle persone, ma nelle strutture e nel potere economico. Il Napoli che vince fa bene a tutti».

lunedì 6 settembre 2010

le audizioni della commissione antimafia in Sicilia

Strage di via D'Amelio. I riflettori sono puntati sulle inchieste in corso a Palermo e Caltanissetta. A diciotto anni dalle stragi di Capaci e via D'Amelio la verità sembra vicina, o meglio, più vicina di prima. Il pentito Spatuzza con le sue dichiarazioni ha - di fatto – rimesso in discussione tre gradi di giudizio sul processo Borsellino, palesando i contorni di un depistaggio istituzionale su quelle indagini. E non soltanto su via D'Amelio: dal fallito attentato all'Addaura al giudice Falcone, passando per la strage di Capaci, sino agli attentati del '93, si stanno rivedendo processi, nomi, luoghi e riscrivendo pezzi di una storia che non si doveva sapere. Tanto da coprirla, con silenzi, depistaggi e archiviazioni. La “scatola nera” della seconda Repubblica è in corso di lettura, in particolare, nei due processi che si stanno svolgendo a Palermo, sulla mancata cattura del Boss Bernardo Provenzano (quello che sui media è detto “sulla trattativa”) e a Caltanissetta su via D'Amelio. Da qualche settimana sono iscritti nel registro degli indagati tre poliziotti Vincenzo Ricciardi, Mario Bo e Salvatore La Barbera (i tre facevano parte del gruppo speciale d'indagine 'Falcone - Borsellino' che indagava sulle stragi di Capaci e via D'Amelio e che era diretto dall'ex capo della mobile poi questore a Palermo, Arnaldo La Barbera) in merito all'ipotesi che vi sia stata una precisa regia dietro le dichiarazioni del falso pentito, Vincenzo Scarantino, mafioso del quartiere Guadagna di Palermo. 

Per la prima volta da quel tragico 1992 una Commissione antimafia ha scelto di occuparsi di quel periodo storico in cui un'azione terroristico – mafiosa “mise in grave pericolo la nostra democrazia”. Ha usato proprio questa espressione il 30 giugno scorso il presidente, Beppe Pisanu, quando con una breve relazione introduttiva ha dato il via ai lavori della Commissione antimafia su questo tema. In quell'occasione Pisanu aveva aggiunto: «È ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa Nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica». Da ieri la Commissione antimafia si trova in Sicilia per una tre giorni di audizioni con i magistrati palermitani e nisseni. 

«Non so se la politica saprà reggere la verità che sta emergendo sulle stragi». Questo avrebbe dichiarato ieri ai giornalisti davanti alla prefettura di Palermo, il pubblico ministero Domenico Gozzo prima di entrare in audizione con la Commissione. «Una verità che passa anche attraverso alcuni apparati istituzionali – avrebbe aggiunto Messineo». Frasi che sono state subito raccolte e rilanciate dai media, trovano però subito una smentita da parte del presidente Pisanu che si affretta a precisare: “non abbiamo parlato di questo in audizione”. La seduta, come spesso accade quando la Commissione antimafia si trova in trasferta, è stata secretata. Impossibile quindi conoscere il contenuto di quanto detto dai pm in quella sede. Quel che è certo è che si è parlato della situazione attuale delle indagini, del cosiddetto “depistaggio istituzionale”, delle rivelazioni di Spatuzza e della mancata protezione del collaboratore di giustizia, e dei contorni della “trattativa” intercorsa fra parti dello Stato e della mafia. E i procuratori hanno sottolineato come si sia finalmente "vicini, ad un passo, dalla verità".

In questi giorni da Caltanissetta, intervistato dal corrispondente dell'Unità, Nicola Biondo, in merito proprio alla trattativa mafia – Stato, Nico Gozzo, ha dichiarato: «Borsellino muore anche per la trattativa. E ci sono molte persone che lo potrebbero raccontare. Alcune di esse vanno ricercate tra alcuni dei cosiddetti “amici” di Paolo Borsellino. La cifra essenziale della sua morte è la solitudine e il tradimento». Ci sono ancora persone che sanno e non hanno parlato. Ci sono persone che stanno ricordando, che provano a nascondersi dietro fisiologici “non ricordo”. E' sul livello politico delle verità non dette su quegli anni che la Commissione antimafia proverà a lavorare e dare il suo contributo. «Il fatto - ha sottolineato ieri Gozzo ai giornalisti – è se la politica sarà in grado di raccogliere queste verità». * * 

«Sono abbastanza ottimista sulla possibilità' che venga finalmente fuori tutta la verità' sulla stagione delle stragi – ha dichiarato il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, in una intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica poco prima di entrare in audizione dalla Commissione antimafia. Ne sono convinto perché' al contrario della quasi rimozione che l'argomento per anni ha vissuto nel nostro Paese, percepisco un rinnovato interesse dell'opinione pubblica, dell'informazione e anche da una parte della politica». In particolare Ingroia sottolinea che «le indagini di Caltanissetta stanno consentendo di rilevare scenari agghiaccianti che purtroppo danno ragione a chi, come me nell'estate del '92 ebbe già' la certezza che quella di via D'Amelio non era strage solo di mafia. Depistaggi di tipo istituzionale sarebbero incomprensibili se destinati a coprire uomini di mafia. Possono avere senso solo se destinati a coprire responsabilità' di pezzi dello Stato». 

In attesa che le indagini proseguano il cammino della Commissione procede in questa direzione per provare a riscrivere una verità politica e storica sulla quale si attende che in molti ritrovino la memoria persa in questi lunghissimi 18 anni senza verità è giustizia.