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Visualizzazione post con etichetta film. Mostra tutti i post
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venerdì 4 marzo 2011

Cubeecraft

Cubeecraft è un divertente ed originale sito che raccoglie tantissimi modelli di personaggi dei fumetti, cartoni, film e serie TV da scaricare, stampare e ritagliare, per poi essere assemblati come modelli in tre dimensioni. Il materiale è organizzato in categorie, per ognuna delle quali vengono presentate le immagini delle risorse disponibili. 2 click sono sufficienti per procedere al download dell'oggetto selezionato già pronto per la stampa.



mercoledì 1 dicembre 2010

Il cinema e gli italiani piangono per Monicelli

Lo choc è di quelli che prendono alla pancia, e la stritolano. «Monicelli si è ucciso»: queste quattro parole si sono rincorse confusamente, sui cellulari, tra colleghi, sul web, nel mondo delle istituzioni. Un lutto che barda un’intera nazione, la unisce. Il cinema che si fa Paese. Come nei suoi film. A differenza di quelle storie, però, qui nessuno accenna un sorriso: anzi, i volti sbiancano a sapere com’è morto il grande regista. 
«Si è buttato dal quinto piano» ci si ripete sgomenti. A 95 anni. Sconvolto il collega fraterno Luigi Magni, compagno di set e di serate romane: «Non so cosa dire di fronte alla scelta estrema di Mario. La morte è sempre una brutta storia e decidere di andarsene così è comunque terribile». Abituato a sorprendere, sempre pronto al contropiede dialettico, Monicelli se n’è andato senza lasciare una riga, senza razionalizzare quello che ha fatto, insano gesto estremo compiuto all’ospedale San Giovanni di Roma, dov’era ricoverato per un tumore, su cui la procura di Roma ha doverosamente aperto un fascicolo. 
E questo, forse – il silenzio –, potrebbe essere l’ultima battuta conclusiva su se stesso, destinata a zittire chi invece su quella scelta si è già lanciato per ingrossare il proprio olimpo ideologico, come i radicali che lo hanno già fatto diventare un testimonial, preconfezionato a orologeria, della loro battaglia per l’eutanasia. Ma il nipote Niccolò taglia corto e ammonisce: «Ricordatelo con i suoi film». 
I suoi film, appunto, con cui Monicelli ha annotato ottant’anni di storia e contro-storia italiana. Di quello parlano i suoi amici registi. Pupi Avati racconta di avergli chiesto l’ultima volta: «"Mario ma quanti film hai fatto?". E alla sua risposta, ben 62 film, avevo sentenziato: non ti batterò mai"». Oltre sessanta film, e più di ottanta sceneggiature, instancabile guascone fuori e dentro il set. Monicelli era ironia, provocazione, spirito caustico: profondamente antifascista, si metteva automaticamente dalla parte di chi protestava, in strada con attori e registi come con gli studenti: «Ribellatevi ai tagli» diceva. E ogni tanto tirava fuori pure il pallino della rivoluzione: «Fate delle cose che vi impegnino, bisogna spingere con la forza e non tacere, sovvertire». Erano parole che venivano da lontano, da una cultura in cui affondavano le sue radici di albero secolare, ma che sapeva anche moderare di ottimismo: «Nella protesta dei giovani non c’è cupezza, solo certezza di vincere». Era moralista senza paura di esserlo, temperato da una certa cinica lucidità con cui osservava l’Italia di oggi: «È un continuo di feste in tv, balli, nudità, sesso. Sembrano gli ultimi giorni di Babilonia, come un vecchio film. Poi Babilonia crollava». 
«Era depresso e si sentiva solo» raccontano gli amici, come Carlo Verdone e Mimmo Calopresti, rivelando un uomo che in fondo assomigliava alle sue tragicomiche: La grande guerra, Un borghese piccolo piccolo, Amici miei, il film delle zingarate, della goliardia che lascia sul fondo sempre un umido di amarezza. Non ci sarà nessun funerale per Monicelli. «Era la sua volontà», ripete la moglie Chiara Rapaccini: la salma sarà portata al quartiere Monti, il rione in cui viveva e che amava, e poi alla Casa del cinema (dalle 11 alle 17), dove oggi riceverà l’ultimo saluto. Quindi il corpo verrà cremato in una cerimonia privata.
«Non solo la commedia, ma il cinema italiano tout court deve molto a Monicelli» scriveva ieri l’Osservatore Romano. «Grazie a lui – dice il quotidiano vaticano –, e a pochi altri, la commedia è diventata non solo meno leggera, più amara, cattiva, a volte cinica, ma anche adulta», al punto «da interpretare quel Paese sfaccettato e pieno di contraddizioni che va dal dopoguerra all’epoca del boom e oltre».
«Si chiude un’epoca» dice Vincenzo Cerami. «Ora Monicelli e gli altri – gli fa eco Maurizio Costanzo – potranno rifare iSoliti ignoti. Mi raccomando, divertitevi». Gassman, Mastroianni, Sordi, Tognazzi, Manfredi, Dino Risi. Mancava solo lui. La commedia dell’Arte è finita.

giovedì 14 ottobre 2010

Fiorello recita per Turturro «Farò sempre meno tivù»

Mettetevi il cuore in pace. Dice Fiorello: «Difficilmente tornerò presto in tv. Anzi, a dirla tutta questa tivù non fa più per me. Non ci sono più i soldi per fare varietà come Stasera pago io, per ora quindi mi prendo le mie soddisfazioni con gli show dal vivo».

Fiorello parla a margine del film di John Turturro, dove appare in una scena particolarmente efficace. Dice l’attore-regista: «Questo lavoro non è fiction, non è un documentario, non è un musical. Forse è tutte queste cose assieme. Ma soprattutto è un atto d’amore verso una città. E la sua anima». Pur avendo già molta Napoli dentro al cuore (i cinque anni di lavoro attorno a La tregua di Francesco Rosi; i tre per Questi fantasmi! di Eduardo) l’italo-americano John Turturro a tutto pensava, nella sua vita, tranne che a girare un film sulla canzone napoletana. «Quando mi hanno parlato diPassione, cioè di un "viaggio musicale" all’interno del panorama antico e moderno della musica partenopea, senza la pretesa di farne la storia, semplicemente facendomi guidare dai miei gusti e dalla mia sensibilità  – spiega Turturro – ho sentito subito che quel film, per me che ho sempre amato tutta la musica, e che ho sempre adorato Napoli, era il mio film».

Così dopo la favorevole accoglienza alla Mostra di Venezia, il 22 esce sugli schermi questo colorito, ritmato, accattivante "ritratto musicale" di una città, che adunando leggende del passato e nuovi miti (da Enrico Caruso, Sergio Bruni e Fausto Cigliano a James Senese, Pietra Montecorvino e Avion Travel, passando per Massimo Ranieri, Lina Sastri, Peppe Barra, e guest star come Mina – solo in voce – o Fiorello) e offrendoli nell’esecuzione di evergreen intramontabili e classici di sempre (O sole mio, I te vurria vasà, Malafemmena, Tamurriata nera, Catarì, e decine di altri), costruisce attorno ad ogni motivo una piccola storia, una «cartolina sentimentale» da una delle città «più belle e complesse del mondo». Perché hanno proposto "Passione" proprio a me? – si chiede Turturro. «Perché in tempi in cui il nome di Napoli correva abbinato a tristi vicende come quella della spazzatura, volevano che un occhio straniero fosse in grado di rilanciarne, anche all’estero, i valori positivi ed inimitabili». Sul cui valore internazionale, non c’è alcun dubbio: «La canzone napoletana non è solo napoletana: è italiana. Quindi del mondo – asserisce Fiorello (lui canta Carosone, duettando in "Caravanpetrol" assieme allo stesso Turturro) – Io ho sentito perfino gente di Arcore, che canta motivi partenopei».

Fiorello non si definisce un attore: «Anche se Turturro dice che girerebbe volentieri un film con me, in famiglia ci siamo da tempo divisi i ruoli. Io canto e mio fratello Beppe recita». Ma non si ritiene neppure un vero cantante: «Così come non sono napoletano. Eppure già Minghella nel Talento di mister Ripley mi aveva proposto di cantare Carosone. Forse perché, nel fare questo, come in ogni cosa che faccio, io metto tutto me stesso».

domenica 5 settembre 2010

Sofia Coppola svela l’inganno di Hollywood

Se complice certa stampa glamour pensate che la vita delle star hollywoodiane sia la migliore possibile, beh, allora correte a vedere Somewhere di Sofia Coppola, in concorso a Venezia e da ieri nelle nostre sale distribuito da Medusa. La mecca del cinema vi apparirà squallida e lunare, nevrotica e depressa, sciocca e volgare. Eppure il film che ha per protagonista un giovane attore emergente, ma già vittima dell’isolamento losangelino, è ambientato allo Chateau Marmont, ovvero uno degli hotel leggendari della tradizione americana che hanno ospitato grandi stelle del passato come Marilyn Monroe, Paul Newman e Greta Garbo. Ma quelli erano altri tempi. Ora tra le mura dello storico albergo si aggirano ballerine di lap dance, equivoci massaggiatori, attricette da strapazzo, eccentrici personaggi che annegano nella solitudine e nell’alienazione.

Su tutta questa desolazione aprirà gli occhi Johnny Marco (Stephen Dorff) quando, complice un improvviso viaggio dell’ex moglie, si ritrova a trascorrere qualche giorno con la figlioletta Cleo (Elle Fanning, sorella minore di Dakota), undici anni. La convivenza spingerà l’uomo a riconsiderare tutta la propria vuota esistenza.

«Ho scritto il film appena dopo la nascita di mia figlia Cosima – dice la Coppola, unica donna in competizione – e la maternità è un’esperienza destinata a cambiare le proprie priorità. Mi piace raccontare le storie di persone che attraversano momenti di transizione e al tempo stesso volevo esplorare le ombre dello show business che ho cominciato a frequentare e conoscere sin da bambina, quando mio padre (il regista Francis Ford Coppola, quello del Padrino e diApocalypse Now – ndr) mi portava con sé nei suoi viaggi. Anch’io ho vissuto per lunghi periodi negli alberghi, con quel senso di straniamento di cui parlavo anche in Lost in Translation».

Dorff confessa invece che non sono pochi i punti di contatto con il suo personaggio: «È facile quando fai questo mestiere attraversare dei momenti di alienazione. Vivi per tre o quattro mesi su un set, la troupe diventa la tua famiglia, quella che ancora non ho ma che tanto vorrei, e poi in attesa di un nuovo ingaggio te ne stai solo e triste in albergo, suoni la chitarra, giochi a tennis, guidi per la città».

Sulla rappresentazione dell’Italia attraverso la cerimonia dei Telegatti, alla quale nel film partecipa il protagonista premiato da Simona Ventura e Nino Frassica con la complicità di un balletto di Valeria Marini, la Coppola spiega: «Adoro l’Italia e la sua cultura che conosco bene grazie a mio padre (di origini lucane - ndr) e quelle immagini girate a Milano rappresentano il mondo dello spettacolo in generale, uguale in tutto il mondo». E sul cinema americano aggiunge: «È un momento difficile per gli indipendenti che non sono interessati a realizzare film facili e vogliono il pieno controllo sul progetto. Io sono stata fortunata: anche le donne regista sono in aumento rispetto agli anni in cui ho cominciato».

Figlia del grande Francis Ford Coppola, che l’anno prossimo riceverà l’Oscar alla carriera proprio come produttore, Sofia aggiunge: «Papà è molto felice del mio film, lui mi ha sempre incoraggiato a realizzare lavori personali per mantenere la mia libertà in campo creativo».