Il Kazakistan vuole la sua parte nell’estrazione del gas nel Karachaganak, uno dei più grandi giacimenti di idrocarburi dell’Asia. Si parla di soldi, un immenso tesoro gestito dal Kpo, consorzio multinazionale di cui la società di stato italiana Eni, insieme all’inglese British Gas, è socio di maggioranza. Lo stato kazako vorrebbe acquisire una partecipazione del 10%, e negli ultimi mesi il pressing per ottenerla ha subito una forte accelerazione.
Il Kpo è stato accusato di aver aumentato i costi di estrazione tra il 2002 e il 2007 per un valore pari a 1,25 miliardi di dollari, di aver estratto illegalmente gas e petrolio per 708 milioni di dollari, di aver evaso più volte le tasse e di aver utilizzato permessi di lavoro irregolari. In più, a metà agosto, il governo del presidente-padrone Nursultan Nazarbayev ha introdotto una tassa sulle esportazioni di carburante pari a 20 dollari per tonnellata.
Un pressing che sembrava aver dato i suoi frutti, visto che lo scorso 25 agosto l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, aveva parlato di “trattative in fase avanzata”. Ma qualcosa dev’essere andato storto. Ieri il fisco kazako ha infatti accusato il consorzio di frode fiscale. Si tratta di “una somma sostanziosa”, ha detto il responsabile dell’agenzia fiscale kazaka, Daulet Ergojin, spiegando che “le principali questioni che si pongono a proposito di Karachaganak concernono la formazione dei prezzi per l’acquisto di forniture tra i partner del consorzio, l’Iva, l’imposta sulle società e i rimborsi”.
Insomma, l’ennesima accusa nei confronti di Eni e soci, che gestiscono l’unico giacimento di idrocarburi del paese in cui lo Stato locale non è presente. Una partita finanziaria immensa, che lascia però inevasa una questione: che ne sarà dei 1500 abitanti di Berezokva, il villaggio in cui malattie e malformazioni colpiscono la popolazione da oltre 10 anni. Per loro, che chiedono solo di essere trasferiti, un’indagine non è stata ancora aperta.