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domenica 25 luglio 2010

Filmiamo un giorno della nostra vita Stavolta è davvero per una buona causa

Da che mondo è mondo ogni uomo cerca (in segreto o palesemente) di lasciare una traccia di sé. Di consegnare ai posteri un frammento (o più) della propria creatività o addirittura della propria vita. Oggi – proprio oggi, 24 luglio 2010 – chiunque di noi ha questa opportunità. Basta prendere una videocamera e filmare uno spezzone della nostra giornata. 

Poi, avremo tempo una settimana per caricarlo su Internet, attraverso YouTube. Insieme ad altre migliaia e migliaia di filmati (gli organizzatori ne attendono più di un milione da tutto il mondo) sarà visionato da un team di registi e aiuto registi. Se ritenuto valido, sarà tagliato e montato insieme ad altri diecimila e più spezzoni scelti per andare a formare un esperimento unico di «cinema collettivo»: un film documentario che racconterà un giorno della vita sulla Terra, il 24 luglio 2010.

L’idea è venuta ai pluripremiati registi Ridley Scott (Il gladiatore) e Kevin Macdonald (L’ultimo Re di Scozia). «Ogni giorno, 6.7 miliardi di persone guardano il mondo attraverso i loro occhi. Immaginate se ci fosse un modo per raccogliere tutte queste prospettive e unirle in un’unica storia».

Fino a pochi anni fa – per l’esattezza prima dell’avvento di Internet, dei social network alla Facebook, di YouTube e delle videocamere a poco prezzo – sarebbe stata un’impresa impossibile o costosissima e destinata soltanto a professionisti. Oggi invece (soltanto oggi) ognuno di noi potrà davvero interconnettere un pezzo della propria vita con migliaia di frammenti di altre vite provenienti da tutto il mondo. Sia riprendendosi o raccontandosi in prima persona, sia filmando altre persone: dai figli ai genitori, dai nonni agli amici. «Potete riprendere anche degli emeriti sconosciuti – spiegano i registi sul web – a patto che otteniate il loro consenso scritto, così da non incorrere in problemi legati alla privacy».

In ogni caso, è concessa – anzi, richiesta – «la massima libertà». Si può filmare l’ordinario («un tramonto, il tragitto casa-lavoro, la partita di calcetto») oppure lo straordinario («i primi passi di un bambino, un matrimonio e perfino un funerale»). Si può usare l’ironia come il massimo del realismo. Si può essere poetici o spietati. Si può essere, insomma, come ognuno di noi è: umorale, diverso e tutto sommato anche (in alcune cose) maledettamente uguale agli altri abitanti della terra.
I cinefili se ne saranno accorti subito: questo esperimento cinematografico collettivo in fondo intende usare storie vere per dimostrare quello che sosteneva nel 2006, usando la fantasia, il film Babel di Alejandro González Iñárritu. E cioè che ci sono fatti ed emozioni che legano ogni uomo.

Ecco: al di là di Internet, del mondo digitale, dei computer e delle immagini che vedremo montate – la prima mondiale del film è prevista nel 2011 al Sundance Festival a Park City nello Utah – questo esperimento resterà unico perché documenterà sì differenti punti di vista da tutto il mondo, ma soprattutto tutti quegli «incidenti felici» e quelle «fantastiche coincidenze» che accadono ogni giorno sulla Terra. Anzi, un giorno sulla terra. Oggi.

giovedì 22 luglio 2010

Terra chiama Alieni, nel 2010


Rimorchiare gli alieni. Anzi, meglio: cercarli per scambiarci quattro chiacchiere, visto che dal cosmo ancora nessuno batte colpo. Dopo decenni di trasmissioni e radio interstellari alla scoperta di forme di vita intelligente extraterrestre, infatti, non ci è pervenuto nè un rassicurante messaggio di pace, nè consigli per scongiurare catastrofi globali. ET, a quanto pare, non ci ascolta. E' il risultato del programma SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), che quanto a comunicazione interstellare è sul punto di cambiare rotta. L'obiettivo? Un approccio più concreto, e il canale sembra essere una riunione ad aprile a League City (Texas), per revisionare alcuni progetti di trasmissione.
Il "terra chiama alieni" ha comunque quasi mezzo secolo di storia. Il primo tentativo di comunicazione interstellare venne lanciato dalla Nasa circa 40 anni fa: 'Progetto Ciclope'.Tre anni più tardi, per celebrare un consistente ampliamento del radiotelescopio da 305 metri di Arecibo, un messaggio in codice di 1.679 bit raggiunse l' ammasso globulare M13 ( anche costellazione di Ercole, ndr), distante da noi circa 25.000 anni luce. La sequenza di 0 e 1 che costituiva il messaggio era una matrice che conteneva alcuni dati sulla nostra posizione nel sistema solare, la figura stilizzata di un essere umano e alcune formule chimiche.
Nel 1960 ci provò l'olandese Hans Freudenthal, il quale progettò un linguaggio interspecie chiamato Lincos, ricavato da semplici formule matematiche. Nel 1999, invece, Alexander Zaitsev, dell'Accademia Russa delle Scienze di Insitute of Radio Engineering and Electronics, inoltrò quattro messaggi interstellari nello spazio, alla ricerca di qualche forma di vita extraterrestre. Risultati? Zero. Nessuna risposta. Douglas Vakoch, direttore del'Interstellar Message Composition programme at the SETI Institute' in Mountain View', azzarda: "Forse qualcuno ci sta ascoltando e il problema è che non sa trasmettere". Ma come si fa a dire 'veniamo in pace' ad una specie aliena?
Più recenti gli studi del matematico Carl DeVito, che dopo aver dato per scontato che gli abitanti degli 'altri mondi' siano a conoscenza dei primari concetti della fisica, ha ribadito l'importanza delle immagini. “Queste- ha infatti precisato il ricercatore- possono essere l'unico modo per comunicare ad uno straniero di cosa stiamo parlando". Per esempio, "si potrebbero collegare i simboli di alcuni significati, come un bambino con un libro illustrato". Finora, tuttavia, l'apporto più significativo si chiama ''Interstellare Rosetta Stone'. Sviluppato dagli astronomi Yvan Dutil e Stephane Dumas del 'Defence Research and Development Canada nel Valcartier', il grafico rappresenta schizzi del sistema solare, la topografia della Terra e i due generi umani: l'uomo e la donna.
E il Web? Per l'astronomo americano Seth Shostak, Google può essere l'arma vincente per comunicare con gli alieni. Il server “contiene una quantità enorme di informazioni, in gran parte ridondanti e pittografiche”. Il solo nodo da sciogliere sarebbero i contenuti pornografici del motore di ricerca, anche se, assicura Shostak, “non dovrebbe essere difficile gestire la situazione”. Oppure la chat: una sorta di social network alieni-terrestri “per insegnare loro le nostre lingue e le nostre storie”. Ma, bisogna puntualizzare, in tal caso le distanze interstellari scanserebbero ogni eventuale probabilità di riuscita del progetto.
Fantasticando, inoltre, c'è chi si allinea sul modello di James Cameroon: l' Avatar, come suggerisce il sociologo William Bainbridge della George Mason University di Fairfax. Una personalità umana codificata da alcuni software per interagire con eventuali ET, o chissà, Na'vi.
Ma se per molti 'la caccia all' alieno' significa scoperta, novità, speranza, qualcun altro si guarda bene dall'entusiasmo. L'ex astronomo David Brin, membro dell'Accademia Internazionale di Astronautica pannello SETI fino al 2006, per esempio, fa sapere con forza di non apprezzare il principio per cui il destino dell'umanità possa essere "in mano a un paio di dozzine di persone arroganti, che si aggrappano ad una immagine dello straniero". Certo è, che fare i conti con l' ennesima debacle di uno schizofrenico Doc in stile 'Ritorno al futuro', non solleva timori. Ma se dall'altra parte dello spazio si nascondesse una civiltà extraterrestre con propositi tutt'altro che rassicuranti?