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mercoledì 15 febbraio 2012

Algoritmi

Possiamo definire un algoritmo come un insieme di righe di codice che gli spider dei motori di ricerca interpretano per fornire i risultati di ricerca, una volta che gli utenti inseriscono una determinata parola chiave. Tali algoritmi vengono continuamente modificati, costringendo i webmaster ad aggiornarsi spesso e a sperimentare diverse soluzioni per ottimizzare le posizioni dei siti.

Google basa i propri algoritmi sul PageRank, determinato a sua volta da elementi come la qualità dei testi e le keyword in essi contenuti, e la link popularity.
Un trucco, fino a poco tempo fa molto utilizzato ma oggi da evitare, è quello di inserire parole chiave invisibili scrivendo testo con lo stesso colore dello sfondo oppure fra le righe di commento nel codice HTML.

Ai fini di una corretta indicizzazione si consiglia, invece, di compilare un codice chiaro e pulito, puntando sulla qualità dei temi trattati e allo scambio link con siti affiliati.

Di seguito i fattori principali a cui fanno riferimento gli algoritmi di Google:
  • Parole chiave contenute in title e meta tag, nei testi fra i tag H1 o in grassetto, nella descrizione dei link.
  • Nome e anzianità del dominio.
  • Quantità e qualità di link diretti verso il nome di un sito web.
 Le informazioni o siti (a parità di ricerca effettuata) che Google reputa a suo insindacabile giudizio più interessanti, appaiono nelle prime pagine di ricerca, gli altri vengono relegati nel limbo elettronico delle ultime pagine dove nessuno li consulterà.

Ma cosa è e come funziona l’algoritmo di Google? In effetti nessuno lo sa. Questo è uno dei segreti industriali meglio custoditi al mondo. Un po’ come la ricetta della Coca Cola!

Pur tuttavia esso è stato (in parte) svelato empiricamente attraverso il lavoro e l’esperienza dei professionisti che si occupano di SEO.

Ecco per la vostra curiosità, una lista parziale di quello che può modificare la popolarità di un sito (con tutta l’informazione ad esso associata):
  1. Quantità qualità dei link esterni che puntano al dominio.
  2. Differenziazione delle fonti di link.
  3. Originalità e unicità del contenuto.
  4. Diversità dei link (intesa come numero/varietà di domini unici che linkano a pagine del dominio).
  5. Architettura del sito (struttura gerarchica e chiara).
  6. Freschezza del contenuto (data di creazione della pagina).
  7. Storia della registrazione del dominio (da quanto tempo con stesso proprietario, numero di rinnovi, etc.)
  8. Tempo medio delle visite sulla pagina.
  9. Velocità di caricamento della pagina (Caffeine).
  10. Link non funzionanti.
La lista completa di circa 200 parametri la trovate quì.

Google con i suoi algoritmi reinterpreta in un certo qual modo la rete e lo fa a suo dire per fornire risultati di qualità, ma sarà veramente così?

lunedì 15 novembre 2010

L’occhio di Google ora vede «troppo»

Acclamato dal popolo di Internet, ma inseguito dalle autorità di controllo di mezzo mondo. Sembra essere questo il destino di Google, il colosso del Web finito di nuovo sotto accusa per presunte violazioni della privacy. Nell’occhio del ciclone c’è ancora Street View, il servizio che grazie alle immagini girate da una telecamera consente di 'passeggiare' virtualmente per le strade di oltre trenta Paesi.

A bordo della cosiddetta Google Car, la vettura da cui si effettuano le riprese, i tecnici della compagnia hanno catturato «accidentalmente » anche un numero imprecisato di dati personali, che è stato possibile captare attraverso le reti non protette. Per questo nei giorni scorsi la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta a carico dell’azienda americana. Il fascicolo, affidato al pm Eugenio Albamonte, è al momento a carico di ignoti. L’accusa è quella di interferenze illecite nella vita privata. I casi riguardano però decine di altri Paesi. Fatti accertati, indiscutibilmente, proprio perché a rivelarli è stata la stessa Google, in un comunicato pubblicato nel maggio scorso sul proprio blog ufficiale, come è abitudine della compagnia.

Ciò che gli investigatori vogliono verificare è se i dati immagazzinati da Google, comprese immagini e «frammenti» di messaggi di posta elettronica, possono far risalire all’identità degli utenti. Denunce, oltre che dall’Italia, sono giunte nelle ultime settimane da Canada, Spagna, Repubblica Ceca e Regno Unito. Negli Stati Uniti l’azienda ha ricevuto una piena assoluzione, da parte della Federal Trade Commission, mentre l’authority delle comunicazioni, che ha aperto una propria inchiesta, deve ancora pronunciarsi. Nell’Oregon e in diversi altri stati americani è partita una raffica di cause civili, con richieste di danni per milioni di dollari.

Ma la "fuga" di dati personali, come ha spiegato Google, è avvenuta anche in Australia, Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Hong Kong, Ungheria, Irlanda, Giappone, Lussemburgo, Macao, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Singapore, Sud Africa, Corea del Sud, Svezia, Svizzera e Taiwan. In Canada, il Commissario alla privacy, Jennifer Stoddart, ha spiegato che in base ai risultati dell’inchiesta «Google ha effettivamente catturato informazioni personali, in alcuni casi estremamente sensibili, come interi messaggi di posta elettronica, indirizzi email e numeri di telefono». Stoddart ha confermato che si è trattato di un errore, il quale tuttavia «avrebbe potuto essere facilmente evitato». Perciò ha ordinato alla compagnia di migliorare le condizioni di sicurezza e di distruggere i dati in suo possesso, fissando un ultimatum per mettersi in regola al primo febbraio 2011.

Le dichiarazioni dell’authority canadese hanno fatto ripartire un’indagine precedentemente aperta in Gran Bretagna. A ciò si aggiungono le polemiche per le presunte violazioni della privacy da parte delle "Google Cars", le vetture che montano la telecamera e scorrazzano per le città registrando le immagini destinate a Internet. Spesso nelle inquadrature finiscono inconsapevoli passanti o particolari degli edifici, come giardini privati, finestre e balconi, poiché l’occhio della telecamera gira a 360 gradi a livello del marciapiede. Un servizio "cartografico" utilissimo se si deve raggiungere una destinazione, ma che pone interrogativi sul rispetto della sfera privata. In Germania, il governo federale ha lanciato un sondaggio fra gli abitanti delle venti città immortalate da Street View. Circa 250mila tedeschi hanno risposto chiedendo di rendere irriconoscibili le proprie abitazioni. Google ha cantato vittoria, sostenendo che dopo tutto si tratta solo del 3% della popolazione interessata. Al tempo stesso però le 'cancellazioni' riguarderanno molti più utenti, poiché dovranno essere "rimossi" interi edifici. L’iniziativa tedesca ha dichiaratamente ispirato il nostro Garante della privacy, Francesco Pizzetti, che nei giorni scorsi ha disposto un perimetro di regole entro il quale si dovranno muovere le "Google Cars".

Dopo l’iniziale curiosità e qualche 'peccatuccio' di valutazione da parte dei media, come i resoconti boccacceschi sulle ragazze sorprese dalla telecamera in piscina, i governi stanno dunque passando ai fatti. Sul blog ufficiale di Google, il vicepresidente del settore Engineering & Research, Alan Eustace, è tornato a scusarsi per gli incidenti provocati da Street View, promettendo che non si ripeteranno. L’azienda, si legge nel "post", ha predisposto nuovi piani di adde­stramento per il suo personale e nominato un proprio 'garante' interno per il rispetto della privacy. Gli Stati Uniti sembrano essersi finora accontentati delle rassicurazioni offerte dalla compagnia. La Federal Trade Commission ha appena comunicato la chiusura delle indagini senza alcuna sanzione per Google. Secondo quanto scrive il Washington Post , tale provvedimento evidenzia il «solco» esistente tra gli Stati Uniti, dove c’è ormai un’abitudine allo «scambio di informazioni», e l’Europa, dove le leggi proteggono in maniera «estensiva» la privacy dei cittadini. Un divario «culturale» che al colosso di Internet potrebbe costare multe salate.In Germania «cancellati» edifici dopo le proteste di 250mila cittadini A Roma s’indaga per interferenze illecite nella vita privata