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mercoledì 1 dicembre 2010

Il cinema e gli italiani piangono per Monicelli

Lo choc è di quelli che prendono alla pancia, e la stritolano. «Monicelli si è ucciso»: queste quattro parole si sono rincorse confusamente, sui cellulari, tra colleghi, sul web, nel mondo delle istituzioni. Un lutto che barda un’intera nazione, la unisce. Il cinema che si fa Paese. Come nei suoi film. A differenza di quelle storie, però, qui nessuno accenna un sorriso: anzi, i volti sbiancano a sapere com’è morto il grande regista. 
«Si è buttato dal quinto piano» ci si ripete sgomenti. A 95 anni. Sconvolto il collega fraterno Luigi Magni, compagno di set e di serate romane: «Non so cosa dire di fronte alla scelta estrema di Mario. La morte è sempre una brutta storia e decidere di andarsene così è comunque terribile». Abituato a sorprendere, sempre pronto al contropiede dialettico, Monicelli se n’è andato senza lasciare una riga, senza razionalizzare quello che ha fatto, insano gesto estremo compiuto all’ospedale San Giovanni di Roma, dov’era ricoverato per un tumore, su cui la procura di Roma ha doverosamente aperto un fascicolo. 
E questo, forse – il silenzio –, potrebbe essere l’ultima battuta conclusiva su se stesso, destinata a zittire chi invece su quella scelta si è già lanciato per ingrossare il proprio olimpo ideologico, come i radicali che lo hanno già fatto diventare un testimonial, preconfezionato a orologeria, della loro battaglia per l’eutanasia. Ma il nipote Niccolò taglia corto e ammonisce: «Ricordatelo con i suoi film». 
I suoi film, appunto, con cui Monicelli ha annotato ottant’anni di storia e contro-storia italiana. Di quello parlano i suoi amici registi. Pupi Avati racconta di avergli chiesto l’ultima volta: «"Mario ma quanti film hai fatto?". E alla sua risposta, ben 62 film, avevo sentenziato: non ti batterò mai"». Oltre sessanta film, e più di ottanta sceneggiature, instancabile guascone fuori e dentro il set. Monicelli era ironia, provocazione, spirito caustico: profondamente antifascista, si metteva automaticamente dalla parte di chi protestava, in strada con attori e registi come con gli studenti: «Ribellatevi ai tagli» diceva. E ogni tanto tirava fuori pure il pallino della rivoluzione: «Fate delle cose che vi impegnino, bisogna spingere con la forza e non tacere, sovvertire». Erano parole che venivano da lontano, da una cultura in cui affondavano le sue radici di albero secolare, ma che sapeva anche moderare di ottimismo: «Nella protesta dei giovani non c’è cupezza, solo certezza di vincere». Era moralista senza paura di esserlo, temperato da una certa cinica lucidità con cui osservava l’Italia di oggi: «È un continuo di feste in tv, balli, nudità, sesso. Sembrano gli ultimi giorni di Babilonia, come un vecchio film. Poi Babilonia crollava». 
«Era depresso e si sentiva solo» raccontano gli amici, come Carlo Verdone e Mimmo Calopresti, rivelando un uomo che in fondo assomigliava alle sue tragicomiche: La grande guerra, Un borghese piccolo piccolo, Amici miei, il film delle zingarate, della goliardia che lascia sul fondo sempre un umido di amarezza. Non ci sarà nessun funerale per Monicelli. «Era la sua volontà», ripete la moglie Chiara Rapaccini: la salma sarà portata al quartiere Monti, il rione in cui viveva e che amava, e poi alla Casa del cinema (dalle 11 alle 17), dove oggi riceverà l’ultimo saluto. Quindi il corpo verrà cremato in una cerimonia privata.
«Non solo la commedia, ma il cinema italiano tout court deve molto a Monicelli» scriveva ieri l’Osservatore Romano. «Grazie a lui – dice il quotidiano vaticano –, e a pochi altri, la commedia è diventata non solo meno leggera, più amara, cattiva, a volte cinica, ma anche adulta», al punto «da interpretare quel Paese sfaccettato e pieno di contraddizioni che va dal dopoguerra all’epoca del boom e oltre».
«Si chiude un’epoca» dice Vincenzo Cerami. «Ora Monicelli e gli altri – gli fa eco Maurizio Costanzo – potranno rifare iSoliti ignoti. Mi raccomando, divertitevi». Gassman, Mastroianni, Sordi, Tognazzi, Manfredi, Dino Risi. Mancava solo lui. La commedia dell’Arte è finita.

Il business dei viaggi musicali

Ogni anno tiene incollate alla tv oltre un miliardo di persone. È il Concerto di Capodanno di Vienna. Quello che, in diretta dalla Sala d’oro del Musikverein, porta in tutto il mondo i valzer di Strauss la mattina del 1° gennaio. Ma vederlo dal vivo è una roulette. «L’unica possibilità per avere un biglietto – come si legge sul sito dell’orchestra dei Wiener Philharmoniker – è partecipare ad un sorteggio». Ma in realtà c’è una scorciatoia. Riservata a chi è disposto a spendere un po’ di soldi. Ma andiamo con ordine e atteniamoci alle istruzioni. I biglietti per assistere dal vivo al concerto sono estratti a sorte tra chi si iscrive sul sito dei Wiener dal 2 al 23 gennaio di ogni anno: prezzi, dai 30 euro per un posto in piedi ai 940 euro per una poltrona in prima fila. 

Questo per la mattina di Capodanno quando ci sono le telecamere, ma ci si può mettere in lista anche per i concerti del 30 dicembre (biglietti da 130 a 380 euro) e del 31 (da 25 a 720 euro): stesso programma, stesso direttore, quest’anno Franz Welser-Möst. Sorteggio a fine gennaio, entro il mese di marzo comunicazione scritta ai vincitori della singolare lotteria.

Eppure anche oggi, 28 novembre, fuori tempo massimo, si possono acquistare biglietti. E regolarmente. Il "trucco" è affidarsi ad agenzie turistiche che offrono pacchetti viaggio per un Capodanno a Vienna con incluso il prezioso del biglietto. Prima pagina del catalogo de Il sipario Musicale, «il primo tour operator italiano specializzato in viaggi musicali» come si legge nel volume ricco di proposte. 

Ecco l’offerta che comprende albergo per tre notti, tre cene, visite a musei e monumenti e biglietto per il Concerto di Capodanno a 4.375 euro, ma non il viaggio, che è carico del cliente. Il prezzo scende a 3.005 euro se si sceglie di ascoltare i valzer la sera del 31 dicembre. Insomma, una differenza di 1370 euro (stiamo parlando della tariffa massima). Mentre per chi ha scelto la via del sorteggio lo scarto tra il biglietto del 31 dicembre e quello del 1° gennaio è di 220 euro.

«Il grosso divario è legato ai costi di acquisizione e al rischio di rimanere anche con qualche biglietto invenduto» precisa Andrea Cortelazzi, responsabile delle relazioni esterne del Sipario Musicale. E anche qui occorre capire. Prima di tutto come mai, se l’unica via, come dicono i Wiener, è quella del sorteggio ci sono sul mercato tali proposte? «In diciassette anni di attività nel campo dell’organizzazione dei viaggi musicali – spiega Cortelazzi – abbiamo intrecciato rapporti di fiducia con i teatri di tutto il mondo tanto che, come nel caso di Vienna, abbiamo la possibilità di opzionare un tot di biglietti da inserire nei nostri pacchetti».

In realtà all’estero esistono anche società che acquistano i biglietti e li rivendono in tutto il mondo. Guadagnandoci. Sono, diciamo così, "bagarini legalizzati", visto che queste agenzie hanno una forma giuridica e pagano le tasse. Facendo, però, inevitabilmente salire il costo dei biglietti. Con il rischio che la musica diventi un fatto elitario, riservata a chi economicamente se la può permettere.

Basta sfogliare i cataloghi degli operatori turistico-musicali italiani (una realtà che si fa strada timidamente: oltre al Sipario Musicale, ci sono Note in Viaggio a Roma, Merion a Genova, Esatour nelle Marche). 

Per una poltrona di platea per la<+corsivo> Valchiria<+tondo> di Wagner che il 7 dicembre inaugurerà la nuova stagione del Teatro alla Scala, il costo (comprese due notti e la cena di Sant’Ambrogio) è di 4mila euro (che scendono a 650 euro se ci si accontenta di un posto in loggione). Per passare il Capodanno a Venezia, con il concerto diretto da Daniel Harding alla Fenice, occorre mettere in conto (tre notti più il cenone) 1330 euro. Quattro notti per un Don Giovanni di Mozart all’Opera di Vienna vengono 720 euro, 710 euro costano invece tre sere a Londra per vedere al Covent GardenAdriana Lecouvreur con i divi Angela Gheorghiu e Jonas Kaufmann. Se amate Wagner, con 1515 euro potete passare due notti a Bayreuth per un’opera del festival estivo (poltrona in galleria, però). 

Molti i pacchetti per il Metropolitan: un esempio, a 2523 euro sette giorni a fine anno a New York con inclusi i biglietti per tre opere e un concerto del pianista cinese Lang Lang. Biglietti che, assicurano gli operatori, vengono venduti solo all’interno dei pacchetti turistici. «Se uno mi chiama e mi offre anche 10mila euro per un posto al Concerto di Capodanno di Vienna – conclude Cortelazzi – dico: no, grazie». Meglio tentare la fortuna con il sorteggio. O accendere la tv.

«Stadi al capolinea» Il pallone ora piange

Siamo all’ultimo stadio. E non solo in senso metaforico. La prima neve caduta sul campionato ha fatto rumore e con essa le polemiche sugli impianti di Serie A. «Così il sistema non funziona», ha sbottato Maurizio Beretta, presidente della Lega, dopo il rinvio di Bologna-Chievo. Campo e spalti del Dall’Ara domenica sono stati ricoperti di uno spesso manto bianco, ma il peso piùà difficile da sostenere è quello degli anni di vecchiaia dell’impianto. 
E dire che il manto erboso dello stadio del Bologna ha generalmente una buona tenuta, e per l’occasione era coperto dai teloni. Ma il problema non è questo: più che il campo impraticabile a preoccupare le autorità è stata la sicurezza degli spettatori sugli spalti ricoperti di neve. «Il sistema degli stadi non funziona, bisogna andare verso impianti di proprietà delle società o profondamente ristrutturati. Abbiamo gli stadi più obsoleti d’Europa - aggiunge Beretta -. Pochi campi al nord sono riscaldati. E la parte dell’accoglienza, della sicurezza non è all’altezza dei concorrenti europei e della qualità del calcio italiano».  
La soluzione di cui si parla sempre è la legge che dovrebbe permettere di costruire nuovi stadi, che sta seguendo il suo iter in Parlamento. «Ci conto, l’appuntamento è in queste ore, siamo vicini a una soluzione - ha detto Beretta -. Il Senato approvò all’unanimità, mi auguro che alla Camera faccia lo stesso percorso».
Domenica sono saltate per il maltempo anche sei partite in Lega Pro e nove tra i dilettanti (serie D). Il presidente della Lega calcio chiama in causa il governo. «Questo sistema non può più funzionare in questo modo - insiste Beretta -. Si deve pensare a stadi di proprietà delle varie società per poter garantire una situazione più qualitativa rispetto a quello che vediamo oggi. È necessario dunque dare una svolta, che speriamo possa arrivare al più presto anche grazie al lavoro del governo».
 L’idea di Beretta e dei club è molto chiara. «In altri paesi gli stadi sono stati finanziati con un ammontare molto elevato di denaro pubblico. Noi pensiamo, molto responsabilmente, che nella situazione attuale del Paese e della finanza pubblica sarebbe sbagliatissimo chiedere anche solo un euro alle casse pubbliche, quindi vogliamo fare gli stadi senza togliere un euro al cittadino. Naturalmente nulla si costruisce dal nulla, le risorse ci vogliono, l’idea è di avere la possibilità di costruire qualcosa di collegato allo stadio, ma parametrato all’investimento. 
Le dimensioni sono decise dal Comune e dagli altri soggetti politici che parteciperebbero all’accordo di programma. Gli stadi oggi non solo non generano profitti, ma accumulano debiti», continua Beretta che a chi teme speculazioni risponde: «Chi non vuole gli stadi, chi non è amico del calcio ha gettato una luce falsa su quello che vogliamo: non ci sono speculazioni».
Ma Bologna in questi giorni è all’indice anche per la sua preoccupante situazione economica. «La Lega calcio non ha responsabilità per i problemi societari del Bologna», ha precisato Beretta in un intervento a “Radio Anch’io Sport” su Radio 1. «Non solo abbiamo vigilato - ha detto Beretta -, ma abbiamo messo in atto tutto quello che serviva. Il rapporto del Bologna con la Lega e con le altre società è garantito in maniera granitica, ci sono tutte le fidejussioni necessarie per le operazioni su cui ci spetta di vigilare. I passaggi proprietari invece sono responsabilità delle società: non siamo la Consob dei club».
Infine la questione sciopero. La clamorosa protesta da parte dei calciatori per il rinnovo del contratto sembra davvero vicina: «Stiamo cercando di fare un accordo collettivo nell’interesse del calcio e non di una sola parte - spiega Beretta - Serve dare stabilità al calcio per i prossimi anni. Prendiamo atto delle norme Uefa che impongono ai club il pareggio di bilancio, quindi qualche cosa in modo concordata va fatta, bisogna cambiare. Il tempo del gioco delle parti è finito, si deve lavorare per costruire un accordo utile al calcio. Un accordo nell’interesse di tutti».

lunedì 29 novembre 2010

The best pictures in the world

Jessica Alba and his daughter in Los Angeles
Miss France in a football match
Thailandia. Monkey buffet
Protest against the abuse of animals for fashion
Problems in Haiti for presidential election.
Jacuzzi in favelas in Rio de Janeiro. Ex narcos built it . Police free the favelas. 
Franz-Josef Bode priest in Osnabrück. He confessed his sin. 
Fire in Turkey. Old bulding since 1908.
Turtles turn back at sea in North Colombia

Police women in Abyan for a Cup beetwen Kuwait vs Yemen 
Greenpeace fly around Chichén Itzá
New Delhi Gay Pride

venerdì 26 novembre 2010

notizie strane

Detenuto tenta di spacciarsi per un poliziotto dal telefono della prigione


Un certo Bradley Pryor era stato arrestato per furto in un negozio di vestiti, da cui aveva sottratto diversi capi di abbigliamento ed altri accessori.
Un reato minore, ed infatti il giudice aveva imposto una cauzione di soli 1.000 dollari. Ma Pryor ha pensato di essere più scaltro, e ha ideato un piano più articolato. Dal telefono della prigione, invece che chiamare qualche parente per farsi prestare i soldi della cauzione, ha chiamato l’autorimessa dove era stato portata la sua auto, sequestrata dagli agenti di polizia, sostenendo di essere un poliziotto, e che l’auto doveva essere immediatamente restituita al proprietario perché c’era stato un errore. L’impiegato dell’autorimessa ha però obiettato che l’arrivo dell’auto era già stato registrato e quindi, anche volendo, serviva una comunicazione formale.
Fatto sta che Pryor non ha tenuto presente un piccolo, ma non trascurabile, aspetto: le telefonate dei detenuti dal telefono della prigione sono ascoltate dagli agenti di polizia penitenziaria, oltre che registrate.
Inevitabilmente, la telefonata gli è costata una ulteriore denuncia per avere impersonato un pubblico ufficiale, e gli è stata imposta una cauzione di 5.000 dollari. Non osiamo pensare che piano geniale potrebbe ideare questa volta.

Licenziata per prolungate assenze ingiustificate, ma è in coma

Una donna spagnola, Sandra Tejero, di Barcellona, è stata licenziata per “assenze ripetute e non giustificate” dal posto di lavoro, un negozio di animali.
Solo che la Tejero una buona motivazione per le assenze (che qualcuno evidentemente non ha notato essere anche consecutive): era in coma in seguito ad un incidente stradale.
coma
Evidentemente nessuno al lavoro ha pensato minimamente di preoccuparsi di scoprire come mai la donna non si presentava al lavoro da qualche giorno, prima di decidere per il licenziamento.
Secondo alcune fonti, in seguito alle proteste che questa situazione ha generato, la donna dopo qualche mese sarebbe stata ri-assunta.

Tentano il record di numero di sms spediti, ma scoprono di non avere una tariffa “flat”. 26.000 dollari di bolletta.

Due americani, Nick Andes, 29 anni, e Doug Klinger, 30 anni, si erano messi in testa di battere il record di numero di sms spediti in un mese. I due si sono messi di impegno, e sono arrivati a ben 217.033 sms inviati l’un l’altro in un mese. Per carità, molti messaggi erano banali (una sola parola) e spesso c’erano ripetizioni.
Ma i due, oltre a non avere evidentemente molto da fare nelle loro giornate, sono purtroppo piuttosto ingenui. Innanzi tutto, il Guiness World Records non ha ancora riconosciuto il record, dovendo innanzi tutto decidere se la loro “performance” sia  equiparabile a quella del precedente record che avrebbero voluto battere, i 182.000 ed oltre messaggi inviati da una certa Deepak Sharma nel 2005, che però li ha inviati da sola ad amici e parenti (ringraziate il cielo che non avesse avuto il vostro numero di cellulare, dev’essere stata un’esperienza atroce per i suoi conoscenti…).
sms-regord
Ma soprattutto, i due hanno scoperto che l’abbonamento “all-inclusive” che credevano di avere non era evidentemente tale, dato che l’operatore a fine mese ha recapitato loro una bolletta da oltre 26.000 dollari, in un plico talmente ingombrante che la sola spedizione della bolletta è costata oltre 27 dollari.
I due hanno protestato, contestando che il loro abbonamento prevede l’invio di sms gratis almeno a certi numeri di telefono selezionati (tra cui, reciprocamente, i loro due), e l’operatore sta facendo delle verifiche, anche se sembra che nelle “righe piccole” potrebbe esserci un limite (irraggiungibile dalle persone sane di mente) al numero di sms inviabili gratuitamente.


domenica 21 novembre 2010

Facebook addio: scopri i 5 concorrenti più agguerriti


Dopo l’annuncio di Messages, il popolo del web si interroga sul futuro del servizio di messaggistica unificato di Facebook. Sarà un successo o un flop? Una cosa è certa: il social di Zuckerberg ha centrato il punto debole di e-mail e sms.
Il web ne parla – Le reazioni sul nuovo servizio di messaging di Facebook non si sono fatte attendere: sta reinventando il modo di comunicare, sta cercando di far fuori il servizio della startup newyorkese GroupMe e, naturalmente, potrebbe fare le scarpe a Gmail. E la lista degli esempi potrebbe allungarsi. Ma come per qualsiasi nuovo servizio, quello che conta non è tanto il giudizio degli “addetti ai lavori”, quanto la reazione degli utenti comuni, di chi alla fine userà (o meno) il nuovo sistema di messaggistica.
Troppe e-mail – Se si analizza l’idea di messaging di Facebook a mente fredda, ci si accorge che si tratta davvero di un passo avanti perché uno dei maggiori problemi della comunicazione, soprattutto via e-mail, è che i messaggi che arrivano nella casella elettronica sono davvero troppi. Si potrebbe tenere il proprio indirizzo provato, è vero, ma per chi lavora non è una strada percorribile. Facebook ha centrato il cuore del problema, ossia offrire un servizio “chiuso” solo alle persone che realmente si conoscono, o almeno è così in linea di principio. Il sistema di filtraggio, poi, fa il resto.
Parole d’ordine: unificare – Altro punto a vantaggio di Facebook Messages è che aggrega varie forme di comunicazione. Se sul lavoro si privilegia l’e-mail e il telefono, in ambito privato vanno per la maggiore sms, chat, oltre ovviamente a porta elettronica e telefonate. La possibilità di avere tutta la comunicazione intercorsa con qualcuno, in qualsiasi forma sia avvenuta, in un unico posto è fantastico. Addio frammentazione e poi quando vi vuole tagliare i ponti con qualcuno, basta un clic per sbarazzarsi di tutto.
Bug qua e là – Il rovescio della medaglia, quando si tratta di Facebook, è sempre la questione della privacy e il proliferare delle false identità. Il super social non è un sistema perfetto e, nonostante le critiche, sta cercando di correre ai ripari, soprattutto adesso che la posta in gioco si fa sempre più alta. Così, nell’ennesimo tentativo di fare pulizia tra account ritenuti “falsi”, anche questa volta ci sono andate di mezzo vittime innocenti, soprattutto del gentil sesso. Quando il sistema automatico pensa di aver beccato un account “fake”, lo disabilita e chiede di confermare la propria identità con un documento di riconoscimento. È quello che sta succedendo in queste ore visto il numero di segnalazioni e reclami che si sollevano da più parti.

giovedì 18 novembre 2010

«Noi, i poveri del calcio dorato»

Da Carrara a Massa ci sono appena 8 km di strada, ma c’è di mezzo il mare (le due Marina) e nella rete ci sono finiti da un pezzo i due bomber “indigeni” del calcio degli anni ’70-’80: il carrarino Marco Cacciatori, 54 anni e il massese Dante Bertoneri, 47 anni. Uniti da un triste, ma per niente insolito destino: quello dell’ex calciatore professionista che dopo aver accarezzato la polvere di stelle, a fine carriera si è ritrovato nel fango del dio pallone.

Marco e Dante non si sono mai incrociati nel derbyssimo Carrarese-Massese e così si ritrovano da ex, dopo tanti anni e con qualche capello in meno, a “sfidarsi” con le miserie e gli splendori di una vita spesa per il calcio. Seduti ai tavoli di un Bar di Carrara bevono un caffè dolceamaro come i loro ricordi. «Avevo 23 anni – attacca Cacciatori – quando un’estate mi sono ritrovato dalla D alla Serie A, nel Perugia di Castagner. Un Perugia da record, imbattuto - 30 partite su 30 - e il sottoscritto che al debutto a San Siro segnò un gol all’Inter. Roba che quando ci ripenso mi viene da piangere...». Ma le lacrime sarebbero arrivate purtroppo in quell’estate e non perché il Perugia lo aveva venduto come «pedina di scambio» per portare Paolo Rossi in Umbria, ma perché una volta passato al Vicenza scoprì di avere un tumore ai testicoli. 

«Ero in ritiro quando mi diagnosticarono un “carcinoma embrionale”. Due operazioni e poi dal Vicenza passai al Genoa. Tornai in campo contro il Cesena e sentivo che avevo il fiato corto, il polmone destro era entrato in metastasi. Tre anni di chemioterapia, vissuti con il terrore di non farcela... Poi ne sono uscito fuori e ho giocato fino a 35 anni, ma quelle stagioni di stop sono andate in fumo. Quattro anni persi per la mia pensione da calciatore professionista dopo una carriera chiusa con 168 gol». Alcuni anni fa Avvenire si occupò del “caso Cacciatori” sollecitando una campagna di sensibilizzazione, affinché qualche club si facesse carico di quei 4 anni di contributi mancanti. Il “Caceta”, così lo chiamano i tifosi, nel frattempo per mandare avanti la famiglia si era impiegato come trasportatore alle cave di Carrara. «Alla fine l’Enpals mi ha accordato 1.080 euro di pensione, ma 480 se ne vanno in contributi volontari e poi c’è l’affitto della casa, 450 euro. Se non ci fossero i 400 euro - per sei mesi l’anno - che mi dà l’Oratorio Don Bosco di Nazzano per allenare una squadra di ragazzi, io e mia moglie - disoccupata - saremmo ridotti alla fame. 

Sopravviviamo con 500 euro al mese...». Dante scrolla la testa, conosce bene il peso di quel vivere sempre appeso al filo di un rasoio. Il suo presente è «precarissimo», quanto quello di Cacciatori e il passato di gloria, ormai lontano, lo ripercorre rapido, con il passo del podista «campione italiano over 40». Ultimo retaggio del grande talento, il cursore del Torino primi anni ’80 che impressionò persino la Juve di Trapattoni. «Sergio Vatta diceva che ero il miglior giovane del Toro e infatti debuttai in A a 17 anni. Dopo i primi articoli, con il mio nome a carattere cubitali sui giornali sportivi, pensavo di aver sfondato, ma nell’estate dell’83 il ds Luciano Moggi con il suo solito modo autoritario mi fece: “Caro Dante: l’anno prossimo te ne vai a Cesena...”. 

Mi voleva spedire in B: alla fine rimasi in A, nell’Avellino, ma dopo un inizio convincente cominciarono i problemi e me ne scappai a Massa... Di Somma venne a riprendermi promettendo a mio padre che se mi avesse convinto a tornare ad Avellino gli avrebbero regalato un Ape Piaggio... Mio padre è morto e quell’Ape non l’ha mai visto. Io ho cominciato a stare male e la situazione precipitò a fine stagione quando mi mandarono al Parma...». Sospira Bertoneri, questo è il capitolo più amaro: «Ero infortunato, menisco, ma Carmignani voleva che giocassi a tutti i costi. Avevo tanto di certificato medico, ma lui niente, insisteva: “Non fare storie su, in campo ci puoi andare...”. Io mi rifiutai e così dissero che mi ero reso colpevole di “insubordinazione”. 

Mi mandarono via e fui accusato di avere comportamenti inadeguati alla squadra, solo perché non volevo farmi le iniezioni di Cortex o perché evitavo di prendere il Micoren. Avevo paura di quella roba là e poi stavo male sul serio. Mi venne diagnosticata una grave forma di esaurimento nervoso che non mi ha più abbandonato e ha segnato il successivo passaggio. Come Marco ho giocato nel Perugia, ma andò male e alla fine sono venuto a chiudere alla Massese». Squadra che ha sempre amato e che dopo il fallimento di due anni fa avrebbe voluto rilevare con un gruppo di appassionati.

Alla fine ha messo in piedi una squadra dilettantistica, l’Asd Massese, che porta avanti suo fratello Fabrizio. «Io non ho i mezzi per fare il presidente. Sono sei anni che busso ovunque chiedendo un lavoro e trovo solo porte chiuse. La settimana prossima comincio un corso per operatore familiare, sono disposto a fare anche il badante, l’importante è lavorare perché vorrei sposare Marilia. È la mia ragazza, l’ho conosciuta a un gruppo di preghiera nella chiesa di San Sebastiano a Massa. Solo lei e la fede mi dà la forza di resistere, altrimenti qui ogni giorno diventa sempre più dura. Dal Torino tante promesse, ma poi sono spariti tutti...». 

Cacciatori annuisce e poi sbotta: «Sono tre anni che sto a casa ... Il mondo del calcio una volta che hai smesso si dimentica di quello che hai fatto, specie per la squadra della tua città. Se Buffon e Lucarelli mi chiamassero alla Carrarese, io sarei disposto a fare anche il custode dello stadio. Ma non chiama mai nessuno...». Marco e Dante si abbracciano e si salutano con una speranza: ritrovarsi al Bar a brindare con il primo stipendio di un lavoro. Sarebbe il gol più bello della loro vita.