Translate

venerdì 8 ottobre 2010

The Truth About Aged Domains

Domains that have been registered and not ever dropped are called "Aged Domains".

These domains normally sell for more than a new one because they have been around for a while. They're usually out of the Google Sandbox and for those who are looking for aged domains with a history, it can help them make a living online or raise credibility in their niche markets simply because if the domain has been around for years, it appears that they have as well.

Aged domains can also be found on forums like DNForum.com and simply by typing in the keywords "Aged Domains" into the search bar you can easily locate domain auctions that include these older domain names.


I have purchased dozens of domain names for $40 or less that were anywhere from 5 - 10 years old. Just based on the age alone I was able to flip these domain names for over 5x what I paid.

For instance, one domain name I purchased wasn't ever used, meaning it hadn't featured a website on it. It just sat parked in the users account for over six years. 

I purchased the domain for only $30.00 and because of its age, I was able to flip it for $379.00. 

That's quite a boost in profít from a domain I paid so little for. 

While there is no exact science on how to flip domains here are a few things to keep in mind: 

1) Development Potential

When you analyze the availability of domains in your list, consider what each domain name could represent and be used for when creating a website presence.

An example of which is whether the domain name is one that could represent a product title or better serve as a personal portfolio, a social community, a directory or perhaps a forum.

While it is unlikely that the purpose of the domain name will match your ideas when it is sold, thinking of a clear purpose for each domain name will not only help you make sound choices during the selection process, but it can also be included in a domain auction as a way of passing on ideas to prospective buyers.

2) Length

It cannot be said enough - most of the domain names you purchase should be relatively short, basically consisting of two words.


3) Trademark Issues

Avoid registering any domain names that could infringe upon the trademark of existing companies. Whether or not you believe that the company will take action shouldn't be considered.

The last thing you want is to purchase a domain name that is unable to be sold due to buyers being cautious or concerned of building a website on a domain that ends up being seized by a company wishing to protect their identity.

4) Relevant / Popular Keywords

Does the domain name contain popular keywords that are used by those seeking out more information in search engines? If so, your domain name just increased its value instantly.

One of the easiest ways to determine whether a keyword is a common one is by using the free service available at www.SEOBook.com or Keyword Discovery.


5) Existing Traffic

If you are purchasing aged or recently expired domains, you will want to determine whether there is existing traffic to the website or not, thus increasing its value immensely.

Organic, natural traffic sent directly from search engines is the best kind, however, back links from other websites are also very important to potential buyers.

An easy way to determine the number of backlinks as well as page rank and other important information is by visiting www.CheckPageRank.net where you can enter in domain names and retrieve useful data relating to the name itself.

When it's time to register your domain names, you can use any registrar that you wish.

Personally, I use www.TLDwebshop.com , a favorite among domain buyers and sellers. Regardless of the registrar you choose, you will want to make sure that you park them on service sites such asAfternic.com or Sedo.com so that you are able to generate revenue while you are preparing to sell the domain itself.

6) Spelling

Is the domain name easy to remember? If your customer purchases the domain and builds a business with this name, will he be able to easily brand it?

For example, domain names with double letters in them such as www.cashhour.com may often be mistaken for www.cashour.com. Keep in mind that domains with odd spellings, hyphens or numbers would have to be clearly spelled out, or explained, when someone is attempting to promote their website through word of mouth, rather than in print.

Consider this when registering domain names and make sure that the names you choose will not be mistaken or misspelled by potential customers of yours or the person purchasing it from you who will experience a significant loss in perceived value.

When choosing your domain names, there will be many factors that come into play - the type of audience you are offering to, the auction sites you are featuring them on, the price range you are expecting and so on.

There is no 'one way' to do this, and you will need to learn to become a better domain evaluator (and purchaser) through hands on experience. Using the guidelines above, however, will help you maximize your efforts and minimize your costs (and losses).


martedì 5 ottobre 2010

Ulivieri, il mister che fa correre i preti

Per fare l’allenatore di calcio, specie in Italia, ci vogliono spalle larghe, carisma e passione da vendere. Quando poi, a quasi 70 anni, si decide di diventare «direttore tecnico» della Nir (Nazionale italiana religiosi) allora occorre anche un po’ di «vocazione». E quella a Renzo Ulivieri, il «Renzaccio», non è mai venuta meno. 

Così quando quattro anni fa Padre Leonardo Biancalani e i religiosi calciofili sparsi per le parrocchie e i conventi d’Italia, gli hanno chiesto di diventare il ct della loro Nazionale, Ulivieri non ci ha pensato su tanto e ha accettato. Debutto della Nir nel 2006 su un campo molto particolare: il carcere di Rebibbia. «Non mi ricordo se si vinse o meno, forse perdemmo, perché noi siamo una squadra di cuore e spesso porgiamo anche l’altra gamba, ma ho bene in mente una scena che mi toccò. Quel giorno fra Enzo, uno dei miei giocatori, nel terzo raggio di Rebibbia ritrovò un suo compagno d’infanzia e si abbracciarono. Ci siamo commossi tutti. E allora pensai, forse anche a un pallone riescono dei piccoli miracoli...». 

Faccia d’attore, buona per la commedia all’italiana di Monicelli, il «mister», come lo chiamano tutti, ha il cuore tenero, «ma sul campo – avverte – non voglio noie, si corre e si suda. Punto». Così una volta al mese scatta il ritiro «calcistico spirituale» per questa specialissima nazionale che da bertinottiano considera una «rifondazione religiosa attraverso il calcio». 

«Ragazzi correre, far circolare la palla, siete preti e frati mica calciatori. E ricordatevelo sempre, Maradona non abita qui...». Eccolo che viene allo scoperto il «maledetto» toscanaccio malapartiano, il comunista, il «mangiapreti». «Potevano aver pensato giusto su quasi tutto, ma io mangiapreti mai stato. Come tanti della mia generazione venuta su nel dopoguerra, sono cresciuto frequentando sia la Casa del popolo che la parrocchia. Alla prima devo la mia formazione umana e ideologica; quella spirituale e soprattutto culturale, mi deriva dalla frequentazione di don Giuseppe. È grazie a quel gran prete che ho imparato a leggere e scrivere, ad amare il latino, ad appassionarmi ai libri di Giorgio La Pira e don Lorenzo Milani. Lettera a una professoressa è il testo base che mi ha guidato in tutto il mio lungo percorso professionale». 

Un cammino, quello del «mister» cominciato alla vigilia dei moti sessantottini nella squadra del suo paese, a San Miniato, e proseguito ininterrottamente per quarant’anni, attraversando tutta l’Italia, allenando da nord a sud, da Vicenza a Reggio Calabria, alla guida di 20 squadre diverse. Ultima panchina, quella della Reggina, stagione 2007-2008. Da poco ha riposto nell’armadio l’amuleto, il suo vecchio e consumato cappotto blu «quattro stagioni», con il quale si presentava regolarmente in campo. «Una volta a Ravenna l’ho indossato alla fine di giugno, testimone il cardinale Ersilio Tonini che sedeva accanto a me e mi guardava stupito... Guarda caso mi avevano squalificato anche quella domenica. Comunque nessuna superstizione, quel cappotto era solo un gioco». Anche questa avventura con la Nazionale religiosi è solo un gioco, ma forse anche un modo per stare più vicino a gente che parla con Dio tutti i giorni. 

«Prima di ogni partita mister Ulivieri ci dice sempre: “Su ragazzi, una preghiera non fa mai male”. E così a centrocampo, mano nella mano, si recita insieme il Padre nostro», racconta padre Leonardo che – appesi gli scarpini al chiodo (infortunio alla spalla) – è diventato il presidente onorario della Nir. «La fede è una cosa seria e non si può mica confondere con una partita di pallone. Solo all’inizio della carriera mi capitò di chiedere a un prete se veniva a benedire la squadra con la motivazione: da settimane non c’è verso di fare gol. E il padre indignato mi rispose: “Renzo vergognati, tu pensi che il Signore debba scomodarsi per queste bischerate?”... Aveva ragione». Saggezza dell’uomo che i suoi colleghi hanno scelto come capo dell’Assoallenatori. 

«Mi hanno liberato dalla tv, alla domenica il calcio ormai lo vedevo solo lì. Oggi invece grazie a questo incarico posso andare a seguire le partite allo stadio senza che nessuno possa dire: “È venuto a gufare per prendersi la panchina che salta”». Storie di cuoio vecchie e lontane, come le discussioni con Roberto Baggio ai tempi del Bologna, «finì che se ne andò, ma finché è rimasto parlavamo anche di buddhismo». Beghe di spogliatoio, come il litigio furibondo con Antonio Cassano, in un Samp-Reggina, ma poi la mano sempre tesa, pronta per il perdono. «Antonio quando ci siamo ritrovati mi disse: “Mister adesso che abbiamo fatto pace, facciamo un’altra bella cosa, quella multa che ci hanno data raddoppiamola e il ricavato lo doniamo alla famiglia di Adriano Lombardi (calciatore morto di Sla)... Sono i ragazzi come Cassano, quelli più difficili, che mi hanno stimolato di più a fare questo mestiere. In fondo penso che da quella panchina ho sempre cercato di portare dalla mia parte il “figliol prodigo”». 

Nel mezzo del suo cammino però, ha incontrato anche tanti buoni samaritani, anime candide alla Damiano Tommasi. «Su tutti faccio due nomi: Lorenzo Minotti che è anche il padrino della mia bambina Valentina e Demetrio Albertini, vicepresidente della Federcalcio». Menti passate dall’università del calcio di Coverciano, dove Ulivieri presiede ai corsi che ogni anno diplomano i nuovi tecnici italiani. «Una scuola di alto livello in cui si cerca di insegnare che il “tecnico vero” è un punto di riferimento e un educatore che deve avere il carisma del capo senza però apparire tale. I calciatori devono riconoscerlo prima di tutto come una persona per bene». 

Una figura in continua evoluzione quella dell’allenatore, ma per Ulivieri è fondamentalmente ancora quella che si leggeva nella dicitura del vecchio patentino: «maestro di vita». «Un ragazzo che gioca a calcio tra allenamenti e partite trascorre almeno 6-8 ore alla settimana con il suo allenatore, il quale corre il rischio di essere pure ascoltato. E se questo accade, vuol dire che ha fatto un lavoro superiore e sostitutivo spesso a quello della famiglia, perché il problema è che questi ragazzi in casa non parlano più. Il calcio dunque diventa uno strumento di comunicazione, aiuta a stare in gruppo, a non sentirsi emarginati e inoltre funziona da grande strumento terapeutico». 

Da tempo infatti Ulivieri segue i ragazzi di un’altra squadra speciale quanto la Nir, la Matrix di Firenze, formazione composta da ragazzi e adulti con disabilità fisiche e psichiche. Il calcio non è una fede, ma è comunque un credo universale che ha i suoi comandamenti e in cima; Renzaccio, da ex «smoccolatore», mette il divieto di bestemmia in campo. «È un fenomeno di cattiva educazione, ma le squalifiche severe dell’ultimo anno sono servite a diminuire i casi di bestemmiatori su tutti i campi». 

La riconquista di un senso civico può ripartire a anche dal rispetto delle regole di un gioco. «Ai giovani dico sempre che potremo vivere in un un mondo diverso e migliore di questo, solo se tutti ci si impegniamo a fare la nostra parte. La mia paura è che le nuove generazioni siano state abbandonate al loro destino e si stanno assopendo. Per risvegliarli occorre spiegargli che è molto più vantaggioso darsi agli altri, piuttosto che chiudersi nel proprio egoismo. Spegniamo la televisione, torniamo a parlare con i nostri figli e facciamogli capire che il bene più prezioso che esista è la felicità. E questa, deve spettare a tutti». Nessuna pretattica, sono i pensieri che arrivano dall’anima del mister che assicura: non ha nessuna intenzione di rubare il mestiere ai giocatori della Nir. «Su un pulpito sarei in fuorigioco. Io farò l’allenatore anche nell’aldilà. Mi sono informato e mi hanno assicurato che giocano a calcio pure lassù, dove ho tanti amici... A me basta un fischietto per gli allenamenti e una panchina da cui urlare per 90 minuti».

domenica 3 ottobre 2010

Mourinho “normal one”

Il vero Josè Mourinho si è “confessato” a Fogli, l’inserto di “Studi Cattolici” e per gentile concessione pubblichiamo questa intervista. Un Mourinho molto umile e pacato.

Il vero “Special One” fa il modesto dopo i tre “tituli” - Coppa Italia, Scudetto e Champions League - del Grande Slam interista?«Non sono modesto, sono credente».

Credente o superstizioso?«Qualcuno mi aveva visto stringere un crocifisso durante una partita. Almeno una volta all’anno vado in pellegrinaggio a Fatima. Il crocifisso che porto con me è un regalo di mia moglie».

A proposito di crocifisso, che cos’era successo con il Sindaco di Reggio Calabria?«Mi aveva accusato di avere dato una moneta a un bambino disabile per umiliarlo. Invece a quel bambino avevo donato il mio crocifisso. Mia moglie l’aveva comprato a Fatima e lo tenevo in tasca da tre-quattro anni».

Riesce a essere criticato anche quando fa un gesto affettuoso.«Si vede che sono sfortunato...».

Come sconfigge la sfortuna?«Con la preghiera».

Prega molto?«Sono cresciuto in una famiglia religiosa».

Chi Le ha insegnato a pregare?«Mia madre. E ricordo ancora certe preghiere che mi faceva dire la sera».

Ha un santo di riferimento?

«La Madonna di Fatima».

Con chi è andato la prima volta al Santuario di Fatima?«Con mia madre. E da allora il 13 maggio è una ricorrenza molto importante per me e per la mia famiglia».

Sua madre la portava a Fatima mentre Suo padre Félix, ex portiere portoghese, sui campi di calcio.«Mio padre viveva per il calcio. Io gli devo tutto».

Oltre agli schemi tattici in campo le ha dato dei suggerimenti anche per la vita?«Onestà e lealtà verso il prossimo».

Che valori ha trasmesso ai suoi figli?«Gli stessi».

Compreso l’insegnamento cattolico?«Se n’è occupata soprattutto mia moglie».

Un papà forse un po’ assente?«Quando posso, vado a prendere i miei figli a scuola e sto con loro. Mi ripaga delle volte che manco, per lavoro, alle feste importanti come i loro compleanni».

Sua moglie la segue sempre?«Una vera famiglia deve essere unita. Ovunque».

Com’è Mourinho in famiglia?«Normale. È una famiglia fantastica la mia. Siamo molto felici. Mia moglie e i miei figli sono molto importanti nella mia vita».

Sua moglie non compare nelle foto dei giornali.«Non ama la mondanità, le piace stare tranquilla. Ha rinunciato alla sua carriera per starmi vicino».

Quando torna a casa dopo le partite parla di calcio?«Che vinca o perda, è impossibile che sia una persona diversa quando torno a casa».

Chi è il mister in casa Mourinho?«Mia moglie. Lei è fondamentale nella mia vita. I miei figli Matilde jr e José jr dicono, scherzando, che a casa non ho autorità. Matilde è il miglior allenatore del mondo. Mia moglie e i miei figli hanno la priorità su tutto. Non ci sono ambizioni che reggano».

È attaccato alla sua terra?«Setùbal è il posto dove ritrovo le mie radici».

E ogni estate vi torna per insegnare calcio ai bambini poveri.«Ho ricevuto tanto dalla vita e voglio regalare qualcosa a chi è meno fortunato».

Chi l’ha deciso?
«Matilde e io. Ma prima lei. Sono bambini sfortunati che noi siamo felici di aiutare».

A chi chiede aiuto quando una partita si mette male?«In campo bastano i giocatori».

Ma lei è “The Special One”.
«Non voglio peccare di superbia».

Lo fa ogni volta che dice di essere il miglior allenatore del mondo.«Ma è la verità».

Com’è un allenatore cattolico nei ritiri e in campo?«Serio. Nel lavoro e nella vita. A volte l’esclusione dalla formazione serve come insegnamento».

Quale insegnamento?
«Che la vita è una faccenda seria. E va affrontata seriamente».

Per la serie: “Dio perdona, Mourinho no”?«Solo dopo il ravvedimento».

Il Suo secondo nome è Mario, proprio come qualcuno che dovrebbe ravvedersi (leggasi Balotelli)?
«Io non faccio nomi».

Ci pensano i giornali.«I giornali non sono la Bibbia».

Dalla Bibbia al Corano, che cos’era successo con Muntari?«Niente di speciale».

L’aveva sostituito perché digiunava durante il Ramadan e in campo non rendeva.«Quando un giocatore non è in forma viene sostituito. Senza problemi».

Ha avuto problemi come allenatore cattolico in Inghilterra?«Ci mancherebbe. Non ascolto le critiche sul mio lavoro, figurarsi sul mio credo religioso».

Ha chiesto aiuto alla fede nei momenti difficili?«Non solo in quelli difficili. E non mi ha mai deluso.

Sono invece molto delusi i tifosi interisti per come si è comportato andando via. «Ho fatto quello che si aspettavano da me: vincere».

Adesso c’è la panchina del Real Madrid.«Sarò ancora il migliore».

A Madrid si aspettano che ripeta il “miracolo” di Milano.«Se le cose cominciano bene finiscono bene».

Che cos’ha provato mentre alzava per la seconda volta la “Coppa con le orecchie”?
«La voglia di alzarla per la terza volta. Tre Champions con tre squadre diverse: l’unico»

Sono state uniche anche le reazioni dopo la finale.«Si sapeva che era la mia ultima partita con l’Inter».

L’Italia non l’ha mai amata«Non mi hanno perdonato di avere dato autorevolezza all’Inter, che in termini mediatici è dietro il Milan e per il tifo viene dopo la Juventus».
Il giorno più bello di quest’anno “special”?«La promozione di mia figlia Matilde jr».

lunedì 27 settembre 2010

FAQ (risposte alle domande più frequenti) sulla Tessera del Tifoso, la nuova carta al servizio dei veri tifosi


Breve riepilogo di cos’è e cosa c’è da sapere sulla tessera del tifoso che sarà obbligatoria da questo campionato di calcio, per acquistare l’ abbonamento alla propria squadra del cuore di Serie A, B e Lega Pro e andare in trasferta nel settore ospiti di ogni stadio.
  • Cos’è la Tessera del Tifoso
    La Tessera del tifoso è un nuovo strumento di “fidelizzazione” adottato dalla società di calcio.
    Il progetto pone l’obiettivo di creare la categoria dei “tifosi ufficiali” che diventano i veri protagonisti dell’evento sportivo.
    Tutti i dati personali comunicati dai tifosi sono conservati solo dalle società sportive e utilizzati (nel rispetto della legge sulla privacy) per promuovere servizi e vantaggi per tutti i tifosi di calcio che vanno allo stadio.
    E’ valida in tutti gli stadi senza distinzione tra i vari campionati nazionali.
    La tessera è rilasciata, su richiesta, dalla società sportiva dopo il ‘nulla osta’ della Questura competente.

Cinque (otto in realtà) idee di marketing online cretine che hanno avuto successo

Svoltare economicamente, fare il grano è un obiettivo che hanno in tanti: chi non vorrebbe vincere il superenalotto quando il montepremi è bello ciccione? Chi non vorrebbe trovare l’idea semplice che garantisca una vecchiaia serena (nostra, dei figli, dei nipoti e dei pro-nipoti) e lo stile di vita che ci meritiamo (e cioé non fare un cazzo vivendo tra feste in Costa Azzurra e i Caraibi e frequentando Paris H.).
Siccome è un’aspirazione condivisa ci provano in tanti ogni giorno a diventare ricchi con i metodi più svariati: rapinando furgoni, truffando poveracci, lavorando duro, risparmiando per poter comprare un locale, sposando qualche rampollo di buona famiglia, vendendo le stock option di Google oppure ideando meccanismi di marketing cretini e senza speranza. Peccato che queste idee spesso (più di quanto vorremmo) diventino una realtà e portino a chi le ha ideate un bel po’ di fama e soldi.
Ci ricordiamo ancora con fastidio MillionDollarhomepage, un’idea deficiente che ha portato nelle tasche di quel ragazzino un bel po’ di soldi e di notorietà. Oltre a essere quello che era ha anche avvicinato a Internet tutti coloro che vorrebbero svoltare ma senza impegnarsi o sbattersi più di tanto. Questa ideuzza era il classico esempio che chi voleva fare “qualcosa” online (quindi senza saperne un cazzo) portava per sottolineare che il lavoro o l’impegno non servono più di tanto, quello che importa è “l’idea”.
Un blog ha fatto la lista di 5 idee di marketing che hanno funzionato nonostante fossero delle cose che a prima vista non sembravano così interessanti (per non dire di peggio). Oltre al fenomeno della carità online (i soldi il tipo li ha fatti perché ha mosso la compassione della gente, mica perché qualcuno voleva assicurarsi un pixel di quella pagina) ci sono mirabili esempi di gente sfacciata e senza vergogna che ha trovato il momento giusto (al posto giusto: Internet) come “Salva il Coniglietto” – una specie di riscatto, se versate del grano fino ad arrivare a 50.000$ non ammazzo il coniglio che ho appena comprato, o come “Dai il tuo nome a una stella” – dove nessuna organizzazione mondiale ha titolo per assegnare nomi a stelle a parte l’Associazione Astronomica Internazionale (o qualcosa del genere).
L’articolo che riporta la lista parla di queste (e altre come santamail.org dove puoi scrivere a Babbo e sperare che non si dimentichi di te come tutti gli anni a patto di pagare) come idee semplici e ingegnose che possono essere da esempio per altri che vogliono diventare ricchi/famosi senza lavorare troppo (nella lista è stranamente incluso un software per Facebook che è in realtà un’idea ben più articolata delle altre). Visto che siamo in Italia abbiamo qualche compatriota che ha affinato queste tecniche e visto che non c’è spargimento di sangue ci possono sembrare sensate o lecite (o addirittura da preferire alla rapina o al ricatto).
Non voglio fare il moralista ma Internet è un’opportunità enorme per tutti in tutte le parti del mondo, se uno ha abbastanza fantasia per inventarsi una cosa del genere può anche avere altre idee magari meno cretine e che richiedono più applicazione e lavoro ma almeno sono cose di cui andare fiero (o non vergognarsene).

Uscire dalla Crisi. Nuove idee di marketing per le PMI

La Grande Crisi a cui stiamo assistendo ha profondamente influenzato l'attività lavorativa di milioni di persone in tutto il mondo, ed i riflessi nelle vendite e nel fatturato delle aziende si sono fatti sentire con forza all'interno dei dati di bilancio. Anche in Italia la crisi sta lasciando il proprio segno, con migliaia di piccole e medie imprese in difficoltà o vicino alla chiusura. 



Per emergere da questa situazione di mercato è necessario sciogliere il "bandolo della matassa", scoprendo quel che può essere trasformato in opportunità nell'attuale stagnazione del mercato. Sicuramente alle imprese vengono chieste nuove energie e nuove idee, fattori che del resto hanno contraddistinto la creatività italiana nei tempi passati. 



Partiamo da una prima constatazione: una riduzione del fatturato per la maggior parte dei settori è fisiologica perché le famiglie vedono un crollo della propria capacità di spesa, ed anche quando questo non avviene preferiscono risparmiare denaro. Questo risulta come un dato generalizzato, se non per alcuni settori di nicchia o tradizionalmente anticiclici (come ad esempio l'alimentare o il farmaceutico). 



Per tutti gli altri, persiste nella mente dell'imprenditore e dei responsabili aziendali la domanda più semplice: dove sono finiti i miei clienti? La risposta è spesso composta da due semplici parole. Sul internet! 



Ma non è tutto. Spesso è necessario trovare nuovi clienti o sbocchi di mercato non solo perché molti dei precedenti sono stati persi per strada, ma anche perché quelli rimasti faticano a mantenere ben oleato il ciclo dei pagamenti. L'Italia è in particolare tra i mercati più difficili per questo particolare ambito, perché alla stretta del credito si aggiungono spesso incassi dei pagamenti dilatati oltre i 120 giorni. 



Esistono però delle occasioni che se ben sfruttate possono permettere di ribaltare la situazione, o perlomeno contenere i danni. Si tratta del mercato di internet e del marketing digitale, su cui molte aziende fanno ancora fatica ad affacciarsi. Proprio per questo motivo si tratta di un'opportunità dove può essere costruito un certo vantaggio competitivo. 



Con la nuova realtà di mercato che si è venuta a creare, la maggior parte delle aziende in difficoltà si trova a non poter più sostenere i budget di marketing sfruttabili in precedenza. Così si taglia su fiere aziendali, si riduce il telemarketing ed i materiali di marketing tradizionali, nella speranza che la situazione si risollevi velocemente. Purtroppo, questa strategia va tutto a vantaggio di quelle poche aziende che sono abbastanza capitalizzate per affrontare indenni la crisi. Spesso la conseguenza principale è che chi si trova in posizione di forza sfrutta l'occasione per avvantaggiarsi ulteriormente facendo letteralmente sparire dal mercato le realtà più piccole, che non riescono a proseguire nell'attività non certo per mancanza di competenze o know how ma perché non dispongono delle risorse finanziarie e delle produzioni di scala necessarie. 



La soluzione esiste ed è quella di abbracciare le nuove tecnologie per cercare un approccio più efficiente e funzionale con i propri clienti. Internet è già oggi un mercato mondiale estremamente ampio ed eterogeneo, raggiungibile 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, per tutto l'anno. Ma è un altro il fattore realmente determinante per quel che concerne il "fattore internet"; si tratta di un mezzo dall'accesso estremamente semplice, facile e democratico se solo si sa come fare. Sul web, la grande multinazionale e la piccola impresa possono essere sullo stesso piano comunicativo. E' infatti possibile operare con budget estremamente ridotti e limitati, facendo leva sulle potenzialità virali del passaparola digitale. Se è vero infatti che le prime sono delle organizzazioni piuttosto rigide nella propria attività comunicativa, le imprese più piccole possono sfruttare la loro flessibilità per creare progetti di comunicazione dinamici ed efficaci. 



Il primo passo è quindi quello della formazione. Apprendere cos'è il marketing e la comunicazione digitale e quali sono i suoi strumenti operativi è fondamentale (insieme alla conoscenza basica delle lingue) per trasformare l'attuale crisi dei mercati in un'importante opportunità di cambiamento e rinnovamento aziendale, proiettando la propria attività nell'economia del futuro. Si tratta di un treno che non deve essere perso, perché difficilmente passerà nuovamente dalla stazione. Lo voglio ripetere sino alla noia: chi non coglierà questo importante fattore di cambiamento difficilmente riuscirà a riguadagnare nuovamente terreno in futuro. Molte persone utilizzano la scusa degli elevati costi di formazione per rimanere fermi sempre allo stesso punto, ma è proprio grazie al web che la comprensione di questi nuovi meccanismi si aperta facilmente ad ogni fascia di età ed istruzione. Apprendere che cos'è il marketing digitale e scoprire come utilizzarlo a proprio vantaggio costa oggi molto meno di quanto si pensa. 



Per questo motivo è possibile trovare su Calmail Store un'ampia serie di Guide Digitali sul web marketing e lo sviluppo del web business, che vi sapranno prendere per mano ed accompagnarvi nella creazione e nell'utilizzo di tutti gli strumenti necessari per portare la vostra attività sul web. 



Se dopo aver letto questo comunicato siete motivati nel trasformare questa crisi in un'opportunità di crescita professionale, considerate l'acquisto di un manuale in grado d'indicarvi i passi verso la digitalizzazione del vostro business. 



E' possibile trovare guide approfondite e specializzate su come rendere maggiormente presente la vostra azienda all'interno dei motori di ricerca, o come acquistare pubblicità a pagamento in modo funzionale ed efficace, e molto altro ancora. Il prezzo massimo per l'acquisto dei manuali è fissato a 12.50 €, ma solo per un periodo limitato di tempo.

Milva: «Addio alle scene Ultimo cd con Battiato»

«Non ho più desideri. A 71 anni, dopo aver lavorato con Strehler, Berio, Vangelis, ciò che ho dato ho dato». Così, dopo l’addio ai tour, Milva fa calare il sipario su tutta la sua attività. A un passo dal 50° di carriera (esordì nel 1961), dopo aver attraversato musica e teatro come pochi, lasciando solo un piccolo spiraglio al ripensamento. «Magari terrò ancora qualche concerto, ma se sul palco non sarò da sola». Milva dà l’addio alle scene presentando un ultimo disco, Non conosco nessun Patrizio!, dieci canzoni di Franco Battiato (compreso l’inedito del titolo) prodotte ed arrangiate da Battiato stesso: in una conferenza stampa velata di malinconia come l’album, un cd in cui la voce pulita e rispettosa di Milva dà diverse, struggenti, conferme della sua classe. Ma il dado era già tratto, se il disco (uscita il 28) nasce proprio (orgogliosamente) come commiato.

«Dopo il cd del 2007 con Faletti ho rifiutato di reincidere vecchie hit e ho cercato Battiato. Mi sono detta che era il modo migliore per chiudere. Oggi scrive canzoni molto più complesse di quando già lavorammo insieme (nell’82 perAlexander platz, e nell’89 per Svegliando l’amante che dorme, nda). E quando mi ha detto di sì, ho iniziato a studiarne i dischi». Così che l’album contiene cose già incise nell’89, classici e pure due pezzi del Battiato d’oggi, I giorni della monotonia ed Io chi sono?: con Segnali di vita e Una storia inventata fra i migliori episodi del disco.

Questo reincontro ha sorpreso Battiato per primo. «Le mie cose recenti non sono musica leggera, e ho dovuto spingere Milva su ottave basse. Ma mi ha lasciato allibito per perfezione». Esce dal clima dell’album la sola, sferzante Il ballo del potere, che Milva ha trovato «divertente ed attuale: per una politica italiana che non è come vorrei». Ma tutto ciò (forse) è cronaca: ciò che conta qui è il clima. Del disco, intimista e dolente, dell’incontro con la signora. Una Milva che rifiuta un domani da revival: «Non scriverò autobiografie. Ci sono già troppi libri inutili». Una settantenne che il disco ha rischiato di non finirlo: «A maggio pensavo di morire, sono stata ricoverata, avevo perso lucidità. Lì ho capito che non ce la facevo più». Una donna che, forse, si è resa conto tardi che i riflettori non valgono gli affetti. «Ho fatto soffrire troppe persone, mia figlia non mi aveva mai vicina nel bisogno. E facevo male anche a me con tutti quegli impegni, tournée, viaggi…».
 
E ora? Ora la fragilità viene cantata, a sigillo finale. L’ultimo tocco di narcisismo è in copertina, una foto d’antan in costume; a margine, un «Avrei amato dedicare l’ultimo lavoro a mamma e papà, ma ora… lo dedico a me stessa». Milva chiude così. Occhi lucidi, quasi a cercare un senso a decenni di applausi sul palco e solitudine nei camerini. Eppure ne avrebbe ancora, da insegnare ai giovani. E questo disco lo dimostra. Semmai, se possiamo annotarlo, sarebbe stato meglio curarlo con la stessa intensità artigiana che ci ha messo lei nel cantarlo. Computer e freddezze sintetiche si sposano male, con l’emozione di una signora che saluta chi l’ha amata e gli struggimenti di una donna fragile che, chissà, forse anche nel canto che dice d’addio cercava solo di ritrovare, finalmente, se stessa.