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lunedì 2 agosto 2010

Foto sportive esilaranti

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martedì 27 luglio 2010

Comma “ammazza-blog”: inammissibile lo diciamo noi

Le buone non sono servite a nulla: l’estensione dell’obbligo di rettifica previsto dalla legge sulla stampa del 1948 ai blog sta per diventare legge. E nella sua versione originaria, che prevede una sanzione fino a 12.500 euro per qualunque gestore di siti informatici “ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica” che non proceda alla rettifica entro 48 ore dalla richiesta e secondo precisi criteri di grafici, di posizionamento e visibilità. Gli emendamenti proposti al testo del comma contenente la norma (il 29 dell’articolo 1), sia quelli abrogativi avanzati dal PD che quelli migliorativi, come quello dell’On. Cassinelli del PDL, sono stati ritenuti infatti “inammissibili” dall’On. Bongiorno. Con un provvedimento che l’avvocato Guido Scorza non esita a definire “lapidario” e “pressoché privo di motivazione”. Ad aggiungere al danno la beffa, tutto questo avviene proprio mentre “cade il bavaglio alla stampa”, grazie anche ai voti di PD e UDC all’emendamento del Governo. Che naturalmente non conteneva alcuna previsione riguardante la Rete. Nella battaglia scatenata dai giornali negli ultimi mesi, del resto, non se ne è mai letto praticamente nulla. Come se la libertà di espressione nel nostro Paese non si misurasse già oggi, e sempre più in futuro, su Internet.
Diciamo “le buone” perché il tentativo, inizialmente, è stato quello di provare a far ragionare il legislatore. Metterlo di fronte ad argomenti, a dati di fatto. Ad esempio che sia errato equiparare un blog qualsiasi a una testata registrata. Che sia errato mettere sullo stesso piano la diffusione professionale e amatoriale di notizie. Che sia inconcepibile pretendere da chiunque apra un sito per esprimere liberamente la propria opinione che non possa assentarsi dalla propria pagina per un fine settimana senza rischiare di trovarsi con migliaia di euro da pagare. Che sia antistorico credere che una legge concepita nel 1948 possa cogliere adeguatamente le dinamiche dell’informazione online. Che sia barbaro disincentivare la libera circolazione delle idee, instillare la paura e il sospetto in chi sfidi il “bavaglio” e fornire un ulteriore strumento intimidatorio ai potenti di turno, che potranno agitare la minaccia della rettifica – con tutto il carrozzone giudiziario che ne consegue – a ogni notizia sgradita. Quanti dei blogger, che per la stragrande maggioranza scrivono senza ricavare un euro dalla loro attività e anzi investendo gran parte del loro tempo libero, saranno disposti ad accollarsi le spese adeguate a dimostrare la fondatezza della propria notizia? Pochi. Gli altri finiranno per piegarsi. Magari dovendosi pure registrarsi presso una qualche “autorità” (il tribunale, l’Agcom o chissà che altro) per rendersi reperibili in caso di guai. Dire la verità, insomma, potrebbe non bastare per dormire sonni tranquilli.
È ora dunque di alzare la voce. Tutti insieme. Perché questo non è il primo tentativo di mettere il “bavaglio” alla Rete, e di certo – visto che sta per avere successo – non sarà l’ultimo. Ieri con l’alibi della sicurezza si è burocratizzato come in nessun Paese libero l’accesso da luoghi pubblici e in mobilità. Oggi con la scusa del rispetto per la verità si è fatto un passo in avanti forse decisivo per approvare l’obbligo di rettifica. Domani potrebbe toccare a filtri preventivi e a nuovi reati creati appositamente per il Web. Per colpire la Rete e in particolare i social network, un potenziale di dissenso che dà fastidio a chi l’informazione è abituato a controllarla come gli pare e piace. I disegni di legge ci sono già, basta rispolverarli – o creare l’ennesimo scandalo mediatico sulla Rete perché sia legittimo farlo. Adottare misure di questo tipo rappresenta una tendenza in atto in sempre più paesi nel mondo – ma nessuno di questi è un paese democratico. Quello di oggi è un altro piccolo spostamento nella direzione della Cina, della Birmania e dell’Iran. Ma deve essere l’ultimo.
Per questo chiediamo a tutti i blogger, a tutti i lettori, a chiunque abbia a cuore che la Rete rimanga, pur con tutti i suoi difetti, così com’è di dire no. Di dire basta. Prima che venga ridotta a una grande televisione (anche su questo i primi passi sono già stati fatti). Prima che da un luogo di conversazione diventi un megafono. Lo chiediamo anche a tutti queigiornali che finora hanno taciuto l’esistenza di questo comma, evitando perfino di prendere posizione. Come se questo non fosse un dibattito decisivo per il futuro della libertà. Bene, è ora di schierarsi, e di farlo subito, perché il tempo stringe. È ora di dire all’On. Bongiorno e al Parlamento che se c’è qualcosa di “inammissibile” è questa norma. Che non piace all’opposizione e nemmeno – e qui si rasenta il farsesco – a larghi settori della maggioranza, che pure l’ha proposta. Dimostriamo al legislatore che non piace alla Rete e alla società civile. Chiediamogli di abrogare il comma 29. Prima che faccia danni irreparabili.

domenica 25 luglio 2010

Individuare la corretta indicizzazione di un sito. Una chimera?

Stessi comandi danno risultati differenti in base alla grandezza del sito web. Gli strumenti per la verifica dell’indicizzazione e le loro criticità
Indicizzare un sito web, o meglio, tutte le pagine di un sito web, è una delle priorità del nostro lavoro nella SEO.  L’indicizzazione corretta del nostro sito o del sito di un cliente che stiamo è uno degli elementi fondamentali per riuscire ad avere un’ottimale ottimizzazione nei motori di ricerca.
Inoltre, è una delle prime verifiche che eseguiamo per sondare lo stato di salute di un sito, perché è come se lo sottoponessimo a una lastra toracica.
I risultati della lastra RX del torace di un sito web ci pervengono subito utilizzando il comando site che tutti di noi conoscono molto bene site:www.miosito.com. Strumento questo che ci restituisce un primo e veloce risultato degli elementi fondamentali di un sito che sono le sue pagine web all’attenzione dei motori di ricerca.  Ma questo strumento, ci restituisce risultati esatti? O meglio, risponde sempre correttamente alla nostra domanda?
Essendo noi medici scrupolosi del nostro paziente (il sito web) vogliamo vederci chiaro per poi giungere, dove possibile, a una spiegazione esatta. Quindi essendo come San Tommaso (“se non vedo non credo”, non per altro..) sono andato più a fondo e ho verificato se effettivamente questa prima lastra che è il comando site ci aveva fornito risultati attendibili.
Quindi ho comparato un sito di medie dimensioni, con uno più grande ed ho ottenuto il seguente risultato:










Abbiamo quindi scoperto che il comando site, ci da in questo caso risultati uguali 113 pagine indicizzate
Vediamo ora quali altri strumenti possiamo utilizzare per individuare l’indicizzazione di un sito. Apriamo Google Analytics e selezioniamo pagina di destinazione.



























Non siamo ancora contenti. Sottoponiamo ora un sito di maggiori dimensioni, quindi, con più pagine web.


















Abbiamo scoperto che sottoponendo un sito di maggiori dimensioni al comando site, i risultati sballano comparando due browser di quasi 300 pagine: 9360 un browser, 9600 un altro browser.
Utilizziamo anche qui Google Analytics per verificare le pagine indicizzate.









La mia conclusione, per il momento è che il comando site può essere attendibile per siti di piccole-medie dimensioni, mentre siti di grandi dimensioni non possono supportare la sua efficacia. Abbiamo visto che comparando il comando site e GA nel primo caso, i risultati in termini numerici sfalzano di poco, mentre per siti di grosse dimensioni, il comando site sembra perdere il polso della situazione.
Il mio personale parere è che i siti di grandi dimensioni, il comando site non restituisca risultati fedeli e una comparazione con GA sia il modo migliore per verificarlo.

giovedì 22 luglio 2010

Terra chiama Alieni, nel 2010


Rimorchiare gli alieni. Anzi, meglio: cercarli per scambiarci quattro chiacchiere, visto che dal cosmo ancora nessuno batte colpo. Dopo decenni di trasmissioni e radio interstellari alla scoperta di forme di vita intelligente extraterrestre, infatti, non ci è pervenuto nè un rassicurante messaggio di pace, nè consigli per scongiurare catastrofi globali. ET, a quanto pare, non ci ascolta. E' il risultato del programma SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), che quanto a comunicazione interstellare è sul punto di cambiare rotta. L'obiettivo? Un approccio più concreto, e il canale sembra essere una riunione ad aprile a League City (Texas), per revisionare alcuni progetti di trasmissione.
Il "terra chiama alieni" ha comunque quasi mezzo secolo di storia. Il primo tentativo di comunicazione interstellare venne lanciato dalla Nasa circa 40 anni fa: 'Progetto Ciclope'.Tre anni più tardi, per celebrare un consistente ampliamento del radiotelescopio da 305 metri di Arecibo, un messaggio in codice di 1.679 bit raggiunse l' ammasso globulare M13 ( anche costellazione di Ercole, ndr), distante da noi circa 25.000 anni luce. La sequenza di 0 e 1 che costituiva il messaggio era una matrice che conteneva alcuni dati sulla nostra posizione nel sistema solare, la figura stilizzata di un essere umano e alcune formule chimiche.
Nel 1960 ci provò l'olandese Hans Freudenthal, il quale progettò un linguaggio interspecie chiamato Lincos, ricavato da semplici formule matematiche. Nel 1999, invece, Alexander Zaitsev, dell'Accademia Russa delle Scienze di Insitute of Radio Engineering and Electronics, inoltrò quattro messaggi interstellari nello spazio, alla ricerca di qualche forma di vita extraterrestre. Risultati? Zero. Nessuna risposta. Douglas Vakoch, direttore del'Interstellar Message Composition programme at the SETI Institute' in Mountain View', azzarda: "Forse qualcuno ci sta ascoltando e il problema è che non sa trasmettere". Ma come si fa a dire 'veniamo in pace' ad una specie aliena?
Più recenti gli studi del matematico Carl DeVito, che dopo aver dato per scontato che gli abitanti degli 'altri mondi' siano a conoscenza dei primari concetti della fisica, ha ribadito l'importanza delle immagini. “Queste- ha infatti precisato il ricercatore- possono essere l'unico modo per comunicare ad uno straniero di cosa stiamo parlando". Per esempio, "si potrebbero collegare i simboli di alcuni significati, come un bambino con un libro illustrato". Finora, tuttavia, l'apporto più significativo si chiama ''Interstellare Rosetta Stone'. Sviluppato dagli astronomi Yvan Dutil e Stephane Dumas del 'Defence Research and Development Canada nel Valcartier', il grafico rappresenta schizzi del sistema solare, la topografia della Terra e i due generi umani: l'uomo e la donna.
E il Web? Per l'astronomo americano Seth Shostak, Google può essere l'arma vincente per comunicare con gli alieni. Il server “contiene una quantità enorme di informazioni, in gran parte ridondanti e pittografiche”. Il solo nodo da sciogliere sarebbero i contenuti pornografici del motore di ricerca, anche se, assicura Shostak, “non dovrebbe essere difficile gestire la situazione”. Oppure la chat: una sorta di social network alieni-terrestri “per insegnare loro le nostre lingue e le nostre storie”. Ma, bisogna puntualizzare, in tal caso le distanze interstellari scanserebbero ogni eventuale probabilità di riuscita del progetto.
Fantasticando, inoltre, c'è chi si allinea sul modello di James Cameroon: l' Avatar, come suggerisce il sociologo William Bainbridge della George Mason University di Fairfax. Una personalità umana codificata da alcuni software per interagire con eventuali ET, o chissà, Na'vi.
Ma se per molti 'la caccia all' alieno' significa scoperta, novità, speranza, qualcun altro si guarda bene dall'entusiasmo. L'ex astronomo David Brin, membro dell'Accademia Internazionale di Astronautica pannello SETI fino al 2006, per esempio, fa sapere con forza di non apprezzare il principio per cui il destino dell'umanità possa essere "in mano a un paio di dozzine di persone arroganti, che si aggrappano ad una immagine dello straniero". Certo è, che fare i conti con l' ennesima debacle di uno schizofrenico Doc in stile 'Ritorno al futuro', non solleva timori. Ma se dall'altra parte dello spazio si nascondesse una civiltà extraterrestre con propositi tutt'altro che rassicuranti?