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giovedì 3 marzo 2011

Delio Rossi: «Forse è meglio allenare i bambini»

È uscito di scena con le lacrime trattenute a stento, l’altro giorno nella conferenza stampa di addio. I tifosi rosanero Delio Rossi lo hanno acclamato però, specie dopo la frase: «Gli allenatori e i presidenti passano, il Palermo resta».
È finita così l’avventura siciliana di un tecnico che meritava un trattamento migliore. Da Zamparini come da Lotito alla Lazio, dopo la Coppa Italia vinta ai rigori sulla Sampdoria, senza dimenticare la qualificazione alla Champions League. Invece tre sconfitte in fila hanno fatto dimenticare lo spettacolo offerto con Pastore e Ilicic, la Roma rullata, le tre vittorie di fila sulla Juve, l’Inter sotto di due gol a San Siro.

Delio Rossi, ora lei è a guardare, mentre Allegri pregusta lo scudetto con il Milan dopo solo una breve esperienza al Cagliari, in Serie A. E Leonardo appena alla seconda stagione da tecnico lo contrasta con l’Inter...
«Loro sono arrivati subito alle grandi, io no. La gavetta però serve: sui campi sterrati, nelle categorie inferiori, si cresce».

Da seguace di Zeman, come lui è stato tradito dalla voglia di entusiasmare?
«Non sono allievo di nessuno, sarebbe sciocco e riduttivo considerarmi un clone del boemo. Ero capitano della sua squadra, il Foggia, nell’86-’87, e poi tecnico della Primavera, quando Zeman si impose all’attenzione nazionale. Non mi sono mai ispirato a lui, ma è fra i tecnici che stimo».

Tante squadre sono molto fisiche, lo spettacolo però si fa con la tecnica.
«Se hai giocatori veloci e di classe, che sanno fare l’uno contro l’uno, la tattica viene dopo: decidono i duelli, aggiudicandosene sette su undici si vincono le partite».

Come si spiegano le difficoltà in trasferta del Palermo, al di là degli 11 gol subiti nelle ultime due gare in casa?
«Abbiamo venduto Simplicio, Cavani e Kjaer, ovvero i pilastri di ciascun reparto, ringiovanito la rosa. La squadra ha futuro, anche se non raccoglie subito. Crescerà».

Furoreggiano gli attaccanti di stazza piccola: Di Natale, Sanchez, Di Vaio. Lo stesso Miccoli portò il Palermo al quinto posto, un anno fa...
«Il calcio è lo sport più democratico: nel basket, a pallavolo e a tennis vince la prestanza, a pallone ci sono il brevilineo, l’agile, il roccioso; la differenza è nella qualità. Gli attaccanti grossi hanno fisicità ma offrono meno spettacolo».

Ecco, lei come fa a divertire quasi sempre con le sue squadre?
«Amo un calcio propositivo, organizzato. La squadra deve avere uno spartito, nel possesso e non, seguire un filo logico».

E quel chewing-gum divorato, come forse solo Ancelotti sa fare?
«È un surrogato delle sigarette, mi mancano tanto, in panchina. Anzi, mi mancava...».

Chi vincerà lo scudetto?
«Prima dell’inizio del campionato pensavo all’Inter, ora invece dico Milan».

Qual è il miglior giovane?
«Dico Pastore, per affetto e riconoscenza nei confronti dei giocatori che ho allenato sino a domenica sera, anche se magari non ne sono convinto del tutto».

Il presidente Zamparini da tempo la criticava per la fase difensiva.
«Quando qualificai la Lazio alla Champions League non subivo tanti gol. Dipende sempre dalle caratteristiche dei giocatori, con Cassani e Balzaretti in fascia devi avere centrali molto rapidi che sappiano leggere le situazioni. Gli schemi belli non bastano, servono equilibrio e un buon saldo fra reti all’attivo e al passivo».

Come si giustifica quel febbraio con solo la vittoria a Lecce?
«Questo Palermo era la squadra più talentuosa e difficile che abbia guidato, con molti talenti a briglia sciolta. Io sono irrazionale di natura, ma razionale sul campo».

Come valuta i torti arbitrali che tante volte avevano innescato il presidente?
«Le piccole non interessano. La guerra in Iraq è considerata nel mondo per il petrolio, del Darfour non frega niente a nessuno. Accade la stessa cosa nel calcio italiano».

Zamparini minaccia spesso di lasciare, ma vale la pena che i proprietari continuino a indebitarsi per il calcio?
«Non conosco filantropi, una volta si investiva per amore di maglia, chiunque ha un ritorno».

Lei ha 51 anni, allena da 21, sino a quando continuerà?
«Non per molto. O mi accende un progetto o preferisco restare fermo. Vivo la professione 24 ore al giorno, in maniera totalizzante. Ora vorrei tornare a guidare i bambini, sono prestato al professionismo».

Spalletti, Ancelotti e Zaccheroni hanno vinto fuori dall’Italia, Mancini ci prova. Li imiterà?
«L’estero mi affascina, ma un posto di mare, dove c’è il caldo. Non amo il freddo. A parte sei mesi a Bergamo, ho lavorato solo in città di mare. Con l’acqua ho un buon rapporto, è lì, mi dà sicurezza. Chi va in Russia comunque non lo fa per esperienza di vita, ma perchè è ben pagato».

Del Neri è approdato alla Juve a 60 anni, Rossi arriverà mai a una squadra da scudetto?
«Mi ritengo fortunato per quanto ho avuto. Mi piace la professione, è pure ben retribuita. Ho tantissimo rispetto per chi lavora in Lega Pro, ho quasi sempre firmato anno per anno, a Palermo avevo un biennale a scadenza in giugno».

Il Napoli è vicino a qualificarsi per la prossima Champions League...
«La differenza tra Nord e Sud non sta nell’intelligenza delle persone, ma nelle strutture e nel potere economico. Il Napoli che vince fa bene a tutti».

mercoledì 23 febbraio 2011

Le pagine del tuo sito nel motore di ricerca di facebook

...Come, perchè, quando?

 

Già da diversi mesi Facebook testa delle modifiche al proprio motore di ricerca interno. Sembra che la divisione dei risultati in categorie (Pagine, Gruppi, Link condivisi, applicazioni, Persone, etc.) sia definitivamente attiva per tutti gli utenti.

Qui a sinistra visualizzi uno screenshot di esempio (potremmo chiamarlo Facebook Suggest?).

Provando tu stesso ad utilizzare il motore di ricerca di Facebook ti accorgerai che l’ordine delle categorie di risultati non è sempre lo stesso.

Di conseguenza i link condivisi (ad esempio) non sono sempre posizionati prima delle pagine e dopo i gruppi. Quest’ordine cambia in base alla “pertinenza” dei risultati al tuo profilo privato (ciò accade già per i risultati della tua home).
Perché ci interessa tutto ciò? Ci interessano in particolare i “Link condivisi”.

Qualche mese fa scrissi che le ricerche su Facebook sono personalizzate a tal punto da ripropormi (quando cerco qualcosa di correlato) i contenuti “esterni a facebook” per i quali avevo espresso gradimento in precedenza. Lo scrivevo qui ad ottobre 2010.

I link condivisi che vedrò nel motore di ricerca non rappresentano però solo le pagine per cui ho espresso gradimento. Tra questi link visualizzerò infatti pagine che non ho mai visitato prima.
Come può Repubblica fare in maniera tale da esser presente con i propri contenuti nel motore di ricerca di Facebook? Repubblica utilizza le Open Graph Page, come definite da Facebook in questo articolo.

In poche parole è possibile, per mezzo dell’inserimento di alcuni codici nelle tue pagine (leggi qui per sapere come), trasformare le proprie pagine web in OGGETTI che entrano a far parte del “grafo sociale” di Facebook, così come ad esempio i profili, le pagine, le applicazioni, etc.

Questo è il motivo per cui, quando Facebook ritiene che una “Open Graph Page” presenta contenuto pertinente alla tua ricerca (ed è anche “gradita” da altri tuoi amici…), la mostra tra i (tuoi) risultati.

Se non sei capace di implementare le Open Graph Page nel tuo sito puoi chiedere supporto alle aziende presenti su Facebookstrategy.

martedì 22 febbraio 2011

Authority per Google

Oggi parlerò di Authority di un sito per Google. Il concetto di Authority per un sito web è molto intuitivo. 
Pensiamo ad uno stato, magari diverso dall'Italia, e ad un'azienda. Quale delle due realtà risulta più autorevole?
 
Per i siti web è la stessa cosa. 
 
Il lato simpatico della medaglia è che Google usa molto questo fattore; quello più antipatico è che crearsi una grande autorevolezza è molto difficile.
 
Il perché è semplice: questo valore magico (chiamiamolo trust), come il page rank, si distribuisce attraverso i link
 
Il trust, a mio modo di vedere, è logico essere misurato come il page rank e quindi in scala logaritmica (circa in base 7). 
 
Cambia il nome, varia il metodo (neanche poi tanto), ma la sostanza, dal '96, è sempre quella! 
 
In ogni caso, ovviamente più ci allontaniamo dalla sorgente più il trust diminuisce.
 
Sorgente.. ma quali sono questi siti sorgente? Gli stessi a cui state pensando: siti istituzionali, università internazionali, Nasa...
 
Ecco perché è difficile avere un alto trust.
 
Un aspetto meno noto è l'importanza della coppia trust - pagerank. 
 
Cosa succede se il nostro sito ha basso pagerank e alto trust? O, al contrario, alto pagerank e basso trust? 
 
Per me, e pure per Google, la situazione è sospetta.

Calcio: un mondo di musei nel pallone

«Ci sono alcuni paesi e villaggi del Brasile che non hanno una chiesa, ma non ne esiste neanche uno senza un campo di calcio», ha scritto uno dei massimi epigoni della “letteratura di cuoio” l’uruguayano Eduardo Galeano. E ci sono alcuni paesi che vicino alla chiesa laica del football, lo stadio, hanno pensato bene di metterci un museo. 

Un luogo ormai diffuso e globale, dal Nepal alla Norvegia, in cui sacralizzare la storia del proprio club, che ne testimoni gli splendori e possibilmente, ne cancelli, almeno il tempo della visita alla sala dei trofei, le immancabili miserie. Fiore all’occhiello di questo turismo alternativo, ma quasi ovunque inserito ormai nei pacchetti della agenzie di viaggio, è il museo del Barcellona. 

All’interno della suggestiva cornice del Camp Nou, lo stadio più capiente d’Europa, con i suoi 98.772 spettatori, per visitare il museo del Barça, inaugurato nel 1998, ogni anno si mette in fila quasi un milione e mezzo di persone. E, attenzione, non tutti appartengono alla categoria calciofili indefessi. Fascino allargato di una squadra che, come recita la scritta a caratteri cubitali impressa sulle pareti della tribuna, è «més que un club», cioè molto più di un semplice club. 

L’ingresso all’Fcbm, orario continuato dal lunedì al sabato, ha anche un costo – 8 euro e 50 centesimi per gli adulti e 6,80 euro per i ragazzi fino a 13 anni –, perciò basta moltiplicare il milione e mezzo di presenze per comprendere che l’aspetto turistico-culturale della squadra, da sempre orgoglio della Catalogna, diventa una voce di rilievo quanto ilmerchandising derivante dalla vendita nel mondo delle centinaia di migliaia di maglie di Messi e compagni. Numeri e introiti incredibili che distanziano nettamente il Barcellona dall’eterna rivale Real Madrid, il cui dignitosissimo museo al Santiago Bernabeu rientra tassativamente nel tour della capitale spagnola insieme al Prado e a un altro spazio museale, quello dei cugini dell’Atletico Madrid. 

La Spagna dunque, con Barcellona e Madrid – ma anche Saragozza e il nuovo museo del Mestalla di Valencia – fa da traino: però il nuovo turismo calcistico e la storicizzazione museale del gioco del pallone, sono nati, come il football in Inghilterra, dove dal lontano 1863 ha sede la prima federazione al mondo, la National Football Association. 

E dopo Barcellona il sorprendente viaggio alla ricerca del pallone perduto e ritrovato in gallerie calcistiche, che tengono botta alle più prestigiose sezioni museali e collezioni d’arte, non può che fare sosta al National Football Museum. «Un gioiello» – secondo il parere dell’algido presidente della Fifa, Sepp Blatter –, quello del Deepdale Stadium, sito nella piccola Preston del “birraio” di Andrea Camilleri. Un luogo assolutamente poetico, in cui si va alle radici della storia del calcio che calamita, specie tra gli inglesi, le attenzioni di quel pubblico che solitamente varca l’ingresso della Tate o della National Gallery.

A Preston, turista non affatto per caso, è stato anche l’ex primo ministro britannico Gordon Brown venuto per ammirare, come tanti, la mitica maglia bianca e il berretto di lana di Arnold Kirke Smith, uno dei pionieri del football che il 30 novembre 1872 disputarono la prima sfida della Nazionale inglese, nel leggendario confronto con la Scozia. Al National Football Museum è custodita anche la preziosa e unica Coppa Rimet (il titolo mondiale) vinta dall’Inghilterra nella finale di Wembley (1966) contro la Germania. 

A Londra, dove hanno sede quattordici club professionistici di cui cinque in Premier League (la nostra Serie A), dopo la momentanea chiusura del museo del West Ham, quello dell’Arsenal, all’Emirates Stadium, e del Chelsea “degli italiani” (vi hanno giocato Zola, Vialli e Di Matteo, ora li allena Carlo Ancelotti), a Stamford Bridge, sono i più visitati.

«Ma Londra non è più la capitale dei musei del calcio. L’asse prima si è spostato a Liverpool, che grazie ai Beatles ma anche al football – alla gloria dei Reds – nel 2008 è stata la capitale della cultura europea; e ora il polo principale è diventato Manchester», spiega l’esperto Maurizio Martucci, autore di Football Story. Musei e mostre del calcio nel mondo(Nerbini). Il centro di gravità permanente dei turisti calciofili si trova infatti a Manchester, e precisamente nella casa dello United. 

Nello stadio di Old Trafford, in quello che non a caso viene definito “the theatre of dreams”, il teatro dei sogni, ogni anno circa trecentomila visitatori – 8,5 sterline (10 euro) il biglietto d’ingresso – rimangono incantati appena arrivano davanti allo stadio. Davanti al piazzale antistante vengono accolti dalle statue degli “eroi” dei leggendari Red Devils: il padre-manager, sir Matt Busby e i suoi golden boy Best-Law-Charlton, che con un pizzico di goliardica blasfemia i supporter delManchester United chiamano «la santa trinità». Nei corridoi di Old Trafford la storia e la tradizione sono superiori albusiness, che però ha la sua importanza nel negozio al piano terra, dove la vendita dei gadget alza il Pil del club più titolato del Regno. Più magliette vendute che Coppe nel museo dei cugini del Manchester City dello sceicco Mansour che, da quando sono arrivati il mister Roberto Mancini e il black-italian Mario Balotelli, hanno incrementato il numero dei tifosi-turisti italiani. 

Nel nostro Belpaese, miniera planetaria dei tesori artistici, invece per numero e qualità dei musei del calcio siamo ancora dietro al Portogallo e solo la Francia ci salva dall’essere fanalino di coda. «Colpa prima di tutto della mancanza di una vera “cultura sportiva”: in Inghilterra e in Spagna esistono da tempo cattedre universitarie di Storia del calcio e nelle scuole di ogni ordine e grado i programmi didattici prevedono la visita guidata al museo del club – spiega Martucci –. Poi, siccome la Fifa vuole che questo venga allestito in stadi moderni e confortevoli, allora l’Italia vanta anche il triste primato degli impianti più vetusti – hanno in media sessantasette anni – d’Europa». 

Nello stadio architettonicamente più competitivo, quello di San Siro a Milano, il museo di  Inter e Milan con quarantatremila presenze la scorsa estate è stato il “monumento” più visitato (più di Palazzo Reale, Brera e il Cenacolo); ma il novanta per cento dei turisti-calcistici erano stranieri, in prevalenza inglesi e olandesi. Nonostante i club italiani siano ormai in gran parte secolari, da noi la tradizione museale legata al calcio è ancora ferma a tentativi di mostre celebrative e la difesa storica è affidata a un generoso volontariato. La risorsa principale che tiene in vita il museo del Grande Torino di Grugliasco sono i volontari, che aprono gratuitamente alle carovane dei tifosi soltanto il sabato e la domenica, purché ci sia la partita di campionato del Toro. Basta imbattersi in uno dei “pellegrinaggi” al museo granata per comprendere il significato del calcio “come una fede”. Una fede laica che risplende nel museo del Barcellona in cui, vicino alle maglie di Crujff e Ronaldo e le ultime Coppe dei Campioni dei ragazzi di Pep Guardiola, fa bella mostra la Mont Blanc con cui papa Wojtyla nel 1982 firmò il Libro d’onore del Club. 

Il turista-tifoso va a caccia per il mondo di reliquie e al Museo del calcio di Coverciano (Firenze), nel laboratorio della Nazionale italiana, si può perdere dinanzi a quarantottomila foto digitalizzate, ottocento spezzoni di filmati e trecento cimeli, oltre ai sessantaquattro palloni e ai trentatré scarpini donati dai leggendari azzurri vincitori di quattro Coppe del Mondo. Il turista-tifoso adora dunque le mirabilia: quelle giapponesi delle quattordici sale di Kashima; le americanate da Soccer Hall Fame di Vaughan (Canada) o dei newyorkesi Cosmos di Chinaglia e Pelè. Ma è anche fortemente attratto dal mito e dalla poesia, quella della Bombonera, la “casa” del Boca Juniors di Diego Armando Maradona, in una Buenos Aires in cui anche Borges, stregato dalla fascinazione popolare del pallone, scrisse: «Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio».

domenica 20 febbraio 2011

Slittino, Zoeggeler da dieci e lode

Un altro record, l’ennesimo. Da tempo primatista per Mondiali vinti (sei) e per vittorie in Coppa del Mondo (ora sono 54), da ieri Armin Zoeggeler è il numero uno anche per numero di coppe di cristallo vinte: sono dieci, come quelle dell’austriaco Markus Prock. Nella pista lettone di Sigulda, dove in passato aveva vinto già otto volte, il 37enne carabiniere di Foiana aveva bisogno di un terzo posto, per essere certo di mantenere il vantaggio sul tedesco Felix Loch. 

Come al solito, Armin non ha fatto calcoli e ha dominato la gara, chiudendo in testa già la prima frazione e confermandosi nella seconda discesa. Albert Demtschenko, il russo che in Lettonia è quasi padrone di casa, ha chiuso secondo con quasi tre decimi di distacco. Quanto a Loch, che tre settimane fa, ai Mondiali di Cesana, era rimasto alle spalle dell’azzurro per soli 21 millesimi, non ha opposto resistenza, chiudendo addirittura 14°, lontano addirittura dallo zoccolo duro di una squadra tedesca mai così lontana dal podio (Eichhorn, settimo, il migliore). 

Per Zoeggeler si tratta della sesta Coppa del Mondo consecutiva dal 2005-'06. Un dominio costruito sull’esperienza - ha vinto praticamente in tutte le piste del Mondo, ad esclusione di St Moritz, dove lo slittino non gareggia più, e di Paramonovo, dove si è corso per la prima volta quest’anno - ma anche sulla cura maniacale con cui gestisce i materiali insieme al d.t. Walter Plaikner, e a uno stato di forma invidiabile. Dovesse continuare a star bene, il prossimo anno potrebbe decidere di andare avanti fino a Sochi 2014. Dove lo attende un altro record da battere, quello degli ori olimpici. Il tedesco Georg Hackl ne ha tre, lui "solo" due. Difficile che non si faccia stuzzicare.

Berlusconi e il Milan, i 25 anni che hanno riscritto la storia

Primi giorni del 1986: il Milan, già reduce da due retrocessioni (la prima per il calcio-scommesse, la seconda sul campo) è sull’orlo del fallimento, sportivo e societario. Azioni sequestrate dalla Guardia di Finanza, il presidente Giuseppe “Giussy” Farina inseguito dall’accusa di falso in bilancio, Milanello assediata dai creditori. Ma poco prima che i libri contabili finiscano in tribunale, Silvio Berlusconi, dopo una lunga trattativa, il 20 febbraio annuncia l’acquisto del club di via Turati.

Ne cambierà la storia, facendone la squadra più titolata del mondo. E dire che, secondo quanto amava raccontare Peppino Prisco, nei primi anni ’80 aveva cercato di prendere l’Inter, non una ma due volte. Prima da Ivanoe Fraizzoli,poi da Ernesto Pellegrini. Berlusconi, d’altra parte, ha sempre negato simpatie interiste, ripetendo che per lui «il Milan è un’avventura romantica».

Come che sia, in 25 anni sotto la sua guida (e quella dei fidati dirigenti Silvano Ramaccioni, Ariedo Braida e Adriano Galliani) il club rossonero ha vinto tutto quello che c’era da vincere e anche di più. Un lungo elenco di trofei, a partire dal primo scudetto sotto la gestione del Cavaliere, nella stagione ’87-’88. In panchina non c’è più Nils Liedholm, ma una scoperta del Cavaliere, il romagnolo Arrigo Sacchi, tutto zona e pressing. Il verbo preferito di due campioni olandesi, Marco van Basten e Ruud Gullit (ai quali poi si aggiungerà Frank Rijkaard). Nel quarto di secolo targato Berlusconi il Milan ha aggiunto alla sua bacheca 7 scudetti, 5 Coppe Campioni/Champions League e tre volte si è laureato Campione del mondo. All’attivo anche 5 Supercoppe nazionali e altrettante europee, nonchè una Coppa Italia. Ed ha cambiato non poco l’immagine stessa del calcio. Dalle campagne acquisti faraoniche, alla creazione del Milan Lab, centro di ricerca scientifica per ottimizzare la gestione psicofisica degli atleti. Lungo anche l’elenco dei campioni passati per Milanello in questi 25 anni. 

Un’avventura parallela di successi e sapiente autopromozione, quella del Presidente-allenatore e del suo Milan, veicolo di consenso popolare e vetrina internazionale. Perchè nel frattempo l’imprenditore edile e l’inventore della tv commerciale è diventato anche uomo politico di successo. Nel maggio 1994 ha vinto le elezioni alla guida di Forza Italia - altra sua creatura - ed ha varcato il portone di Palazzo Chigi.

Sulla panchina del Milan si sono alternati l’aziendalista Fabio Capello, Alberto Zaccheroni, il ritrovato Carlo Ancelotti, fino a Leonardo e a Massimiliano Allegri. E anche quando gli allenatori sono meteore (vedi l’uruguaiano Tabarez ed il turco Terim), il Milan è sempre una parte importante dell’impero. E nemmeno il coinvolgimento in Calciopoli, al termine del campionato 2005-’06 (con penalizzazione di 30 punti) ha scalfito la passione del Cavaliere. Che qualche tempo fa ha promesso: «Sarò il presidente del Milan per altri 25 anni».

sabato 19 febbraio 2011

Facebook e Conversioni - a proposito di Misurazione

Nel modulo 6 del corso di marketing su Facebook spiego quali e quanti tipi di effetti può portare la strategia di Marketing su Facebook e come poterli misurare. A tal proposito ti racconto la breve storia di una cliente che ha acquistato il corso, con cui ho avuto il piacere di parlare telefonicamente.

La cliente prima di acquistare il corso (acquisto effettuato a febbraio 2011) mi telefona per chiedere maggiori informazioni.

Non entro nel merito della telefonata perché non ha direttamente a che fare con l’oggetto di questo articolo.

Al termine della telefonata uso quello che ironicamente chiamo “il metodo botte di ferro per tracciare le conversioni” che consiste in una semplice domanda: “Puoi raccontarmi brevemente come e quando hai conosciuto Facebookstrategy?”. Tutto qui… difficile? :-)

Mi racconta che a dicembre 2010 navigando su Facebook è stata attratta da un annuncio che promuoveva la pagina fan Facebookstrategy. Ecco le sue parole:

“Negli ultimi mesi è tutto un gran parlare di Social Media Marketing, quasi fosse la promessa del secolo in fatto di promozione e sviluppo business. Non solo, le aziende sono sempre più interessate ad affacciarsi su Facebook, sia per promuovere i propri prodotti, che per diffondere il proprio marchio.

Ma c'è troppa confusione, anche tra gli addetti ai lavori: non si conoscono bene le leve della pubblicità su Facebook. Serve per acquisire clienti? Per fare brand awareness? Quali sono i risultati che ci si può aspettare. E in quali tempi. Per non parlare poi della viralità: dato che Facebook si è diffuso viralmente si pensa che basta il solo fatto di essere su Facebook a diventare automaticamente e immediatamente virali.

Mmm, troppe idee confusionarie attorno a questo Social Marketing... Così, navigo su Internet alla ricerca di un libro o di un evento in aula. Ma non trovo nulla che possa interessarmi. Del resto, devo trovare un sistema per usare Facebook in senso strategico, piuttosto che un formulario tecnico su come aprire una pagina. Alle aziende quest'ultimo passo non basta più, e forse convince sempre meno.

Un giorno sono per caso su Facebook per motivi personali, dove oltre ad interagire con i miei amici, guardo qualche curiosa pagina aziendale, e mi imbatto per caso su un banner su un corso sul Social Marketing, dal titolo accattivante: "Le improvvisazioni lasciale ai ragazzini, se sei un professionista clicca qui" (vado a memoria).”

Dopo essere diventata fan ha scaricato gratis il modulo 1 del corso, che ha letto solo dopo un bel po’ di tempo. Alla fine è tornata sul sito DIRETTAMENTE (senza quindi passare da Facebook o Google) ed ha acquistato.

Questo processo d’acquisto è durato circa 2 mesi.

Se non fossi in possesso delle informazioni fornite dalla diretta interessata, saprei semplicemente di aver ottenuto una conversione da una visita diretta al sito. STOP.

Invece so che questa conversione è un effetto indiretto e non a breve termine di una campagna Facebook ADS! Se hai studiato il modulo 6 del corso sai esattamente a cosa faccio riferimento.

Che insegnamento possiamo trarre da questa storia:

1. Ciò che leggiamo sul nostro programma di analisi non è realtà assoluta ma spesso parziale.

2. L’unico modo per sapere con certezza dove e come siamo stati conosciuti dai clienti è chiedere loro (metodo “botte di ferro”). Lo so che è difficile, e spesso è impossibile, ma è bene almeno tenerlo presente.

Il mio consiglio è di ricordare sempre che gli effetti delle strategie di marketing su Facebook (e non solo) possono essere diversi e potrebbero non ricondurre palesemente ad una determinata iniziativa.