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domenica 25 luglio 2010

Un popolo di allenatori, ma precari


Sessanta milioni di ct, quando gioca l’Italia, ma siamo proprio il paese degli allenatori: 15mila associati all’Aic, 40mila complessivamente sono in attività nelle categorie legate alla federazione, compresi i settori giovanili, senza considerare le migliaia di tecnici dei campionati amatoriali, Csi e Uisp. Tanti “mister” hanno anche un altro lavoro, ovvio, però chiunque spera di affermarsi, di vivere di calcio, seguendo le orme magari di Arrigo Sacchi, nell’82 ancora alla Primavera del Cesena e 5 anni più tardi alla guida del Milan stellare.


«La nostra battaglia - racconta Renzo Ulivieri, 71 anni, presidente dell’Assoallenatori - è per avere un tecnico diplomato per ciascuna squadra. Adesso ne basta uno per l’intero settore giovanile, magari composto da ben dieci squadre. Passasse questa norma, si moltiplicherebbero i posti». È proprio così, si fatica a trovare spazio anche in panchina, come nella vita lavorativa comune. Non c’entra tanto la crisi economica, che unicamente sforbiciato i budget, ai livelli inferiori, è che l’Italia sforna allenatori o aspiranti tali a un ritmo insostenibile, tanto più se rapportato ai 132 posti nei club professionistici. «L’Associazione italiana calciatori (Aic) - sottolinea Ulivieri - è una libera associazione, non c’è obbligo di iscrizione, a differenza dell’albo del settore tecnico».

Insomma, Renzaccio rappresenta il sindacato allenatori con orgoglio e ardore. «Fra i nostri tesserati, 1.500 sono i professionisti, che hanno sempre svolto solo questa mansione. Pagano la quota annuale, anche se magari per varie stagioni di fila non sono operativi perché non hanno offerte o decidono di declinarle». Alcuni tra questi sono anziani, come Mazzone: «Mai dire mai - raccontava il “Sor Carletto” -, perchè devo mettere i manifesti e annunciare che smetto?.

Prima - riprende Ulivieri - a 65 anni il settore tecnico mandava in pensione, adesso si può restare in attività a oltranza: se uno ha voglia e trova chi lo chiama perché frenarlo? Ammetto che qui ho chiesto il cambiamento della norma anche ad personam... A tanti comunque piace restare legati alla categoria». Eugenio Bersellini ha 74 anni e nel 2007 tornò in panchina al Sestri Levante, in Serie D. Il presidente dell’Assoallenatori suggerisce proprio ai tesserati di scendere fra i dilettanti, anzichè restare inoperosi.

«Chi ha la qualifica di Seconda Categoria, ad esempio, è più bravo, teoricamente, di uno che ha studiato di meno». Altra priorità dell’Aic è l’accesso alla professione, da non riservare agli ex calciatori. «Dovremmo aumentare i corsi, abolire il numero chiuso. Come si fa a dire a uno che non si può iscrivere? Chiunque ha diritto, pagando, di frequentare e presentarsi all’esame, lì magari la promozione non è sottintesa». L’invito dell’Aic è di andare all’estero, come un lavoratore qualsiasi, perché è lì che può avere soddisfazioni superiori e stress inferiore. 

«La nostra scuola è importante, riconosciuta, si deve cominciare a lavorare fuori». Nevio Scala si è diplomato anche direttore sportivo, in Italia non allena dal ’97, Attilio Perotti, 64 anni, per una stagione e mezza è stato direttore tecnico del Piacenza. Un modo per reinventarsi una delle professioni più ambite e affollate. Siamo un popolo di allenatori è vero, ma precari.